La forma e il taglio d'articolo del live report implicano solitamente un'urgenza nella stesura e nella pubblicazione dello stesso, ma in questo caso specifico rilasciare un commento a caldo si è rivelato meno semplice del previsto. Tra le band di spicco dell'anno in corso, tornati con il valido album "Waterslide, Diving Board, Ladder To The Sky", i Porridge Radio continuano a registrare successi, e dopo la data all'Arci Biko a Milano hanno segnato un altro goal, con un sold out nell'avamposto bolognese (anzi, nel Covo) della musica indipendente. Il compito di aprire la serata spetta a Hachiku, al secolo Anika Ostendorf, giovane, timidissima e adorabile (precisazione doverosa) artista tedesca di stanza a Melbourne. Visibilmente emozionata per il suo primo viaggio in Italia, la musicista esegue poco più di una manciata di pezzi, caratterizzati da uno stile lieve e orecchiabile tra indie-rock e alt-pop shoegaze-y, con lo sguardo rigorosamente fisso sulla pedaliera, mentre la sala si riempie velocemente. Sguardo dolce, ingrandito a dismisura da un paio di occhiali, e look anni Novanta, catalizza l'attenzione su di sé con gli echi e i cori sintetici di "You'll Probably Think This Song Is About You", le melodie cristalline di "Moon Face" e una chicca finale, una commovente cover di "Dreams" dei Cranberries.
Al termine della performance di Anika la sala del Casalone è gremita e l'attesa per gli headliner si fa sentire in maniera pressante. Il quartetto si schiera sul palco alle 22.40, dando inizio alle danze con uno dei pezzi forti della precedente opera "Every Bad", "Give/Take", traccia che appare molto fedele alla sua versione in studio, così come le successive novità appartenenti all'ultimo lavoro, la cullante "End Of Last Year" e le melodie sintetiche di "Splintered". Nel corso di questa prima parte, la frontwoman Dana Margolin si vede costretta a ricominciare daccapo ben tre pezzi, a causa di un problema con l'amplificatore, cosa che la spazientirà non poco (comprensibilmente) e la vedrà celare una moderata irritazione quasi fino alla fine della performance.
A sorprendere di più sono le tracce che nella dimensione live sfoderano una maggiore grinta, in particolare "Good For You", che perde buona parte della componente sintetica in favore di ritmi di batteria più veloci e potenti, ad opera di Sam Yardley, con un risultato molto più tagliente e in direzione post-hc, rimarcato anche dal modo di cantare di Dana, tanto da portare la gente ad accennare dei piccoli poghi inaspettati.
Superati i problemi tecnici, si riscontra una crescita graduale fino alla dinamica "U Can Be Happy If U Want To", che si attesta a mani basse come uno dei momenti migliori della performance, nel quale la band si mostra più coesa, sia a livello strumentale, sia visivo. Da qui in poi il gruppo mette il turbo e si sveglia con l'ottimo trittico "Long"-"The Rip"-"Back To The Radio", ponendo in luce finalmente le proprie capacità. La tornata finale vede una versione scarna di "You Are A Runner And I Am My Father's Son" dei Wolf Parade, con Yardley nel ruolo di chitarrista, e la bomba "Sweet", classico del quartetto ancor più abrasivo nella sua esecuzione dal vivo.
Su disco i Porridge Radio sono e restano la band del cuore di molti, ma in scena la reazione suscitata a pelle non è probabilmente uguale per tutti, e in qualche caso il gruppo può sollevare qualche perplessità. Tale dubbio può essere legato all'eccessiva deriva Margolin-centrica, che sul palco (come nell'album) domina incontrastata la scena, facendo sparire a tratti gli altri componenti, sebbene a livello di qualità corale dei brani eseguiti non ci sia assolutamente nulla da dire. O forse è proprio quest'ultimo il problema: una velata freddezza percepita qua e là, a causa di una ricerca fin troppo eccessiva di perfezione. Inutile, quando ci si accorge che la gente li apprezza nel momento in cui tirano fuori le unghie e il carattere.