21/10/2023

Brian Eno

Teatro La Fenice, Venezia


Chi l’avrebbe mai detto. Che Brian Eno si rimettesse a suonare dal vivo, che lo facesse con un’orchestra, e che la tappa zero fosse a Venezia, alla Fenice, in un caldo sabato pomeriggio da ottobrata romana. Verrebbe troppo semplice parlare di arabe fenici, ma qui non c’è nulla di tutto ciò: non se ne era mai andato, Eno. E sul palco, più direttore d’orchestra del direttore stesso - Kristjan Järvi - là, quasi immobile, al centro di un lieve rialzo del soppalco, a dominare la scena, dalla penombra.

Fa un certo effetto trovarselo davanti, in mezzo a un teatro strapieno, accerchiato da una miriade di musicisti – per tutti i gusti: violoncelli, trombe, tamburi, clavicembali, violini, un’arpa, chitarre, tastiere - a far intendere che quello è uno concerto collettivo (dirà, a un certo punto, “questa non è un’orchestra, questa è una band rock”). Ed è vero, perché lo spettacolo, che ricalca largamente il suo album del 2016 su Warp, “The Ship”, non è ciò per il quale Brian Eno viene riconosciuto, anzi. C’è appunto questa sorta di effetto corale, che a volte appare pure stucchevole – echi da scuola canadese e Sigur Ros nella loro versione più zuccherata, per capirci - ma che non si può non perdonare se il risultato finale è quanto visto e sentito.

Quella di Eno è una vera e propria opera rock che, con pur tutte le cadute di stile che qua e là si sentono, rimbomba ancora nelle orecchie, soprattutto nei suoi passaggi più vibranti: una colata di suoni, con inserti spoken word, per una quarantina di minuti che filano via liscissimi, con accelerazioni e decelerazioni, con l’orchestra che, in piedi, si muove sul palco. E la sensazione di una fluttuazione costante, del suono, delle persone.
Le splendide flebili luci, che si arrampicano sulle gallerie e sul loggione, fanno da sfondo a un light design spesso da stropicciarsi gli occhi. Immerse in un vortice di suoni che s'affastellano gli uni sugli altri, fino a un fragoroso finale. Poi le luci un poco s'alzano, Eno prende il microfono, si dice emozionato. Ma ora è il mio turno: parte “By This River”, cioè una di quelle cose che mai pensavo potesse capitarmi di sentire dal vivo. Il teatro, già silenzioso, s’ammutolisce. E poi, altri quattro brani, dalla sua produzione degli ultimi 15 anni.

Applausi scroscianti, standing ovation, inchini della Baltic Sea Philharmonic. Si esce, c’è il sole, Colapesce e Samuel dei Subsonica chiacchierano, i turisti passano, fotografano, si accalcano nelle calli. Durante il live, in un intermezzo, aveva aggiunto: “Magari siete venuti qui per ascoltarvi ambient music, invece vi siete ritrovati tutte queste esplosioni”. Avercene.