05/05/2024

Yes

La Nuvola Convention Center, Roma


Rampe di scale mobili per varcare l’elegante soglia dell’auditorium nel cuore del quartiere romano dell’Eur, in una serata insolitamente tiepida, calma. Sarà l’ennesimo match chiave per la squadra giallorossa, forse una ormai decaduta appetibilità di una delle storiche band del progressive inglese. Sembra di entrare in un sogno galleggiante, con gruppi sparuti di attempati fan a salire lentamente in un colore soffuso, dalle tonalità seppia. Aiuto una coppia dall’accento emiliano a trovare l’ingresso e la biglietteria, mentre quelli sembrano stupiti: “Ma ci fanno parecchi concerti qui?”. Dopo Tony Hadley, un altro appuntamento per grandi firme sull’avveniristica architettura di Fuksas, anticipato agli occhi dalla breve mostra a cura di Roger Dean, storico illustratore del rock più sperimentale. Per esaltare il proprio udito bisogna però salire, due o tre rampe di scale mobili, passando in mezzo alla nuvola come a essere catapultati in uno dei mondi futuristici disegnati sulle copertine degli album degli Yes. Peccato per il personale in giacca che sì non difetta in disponibilità, ma è già pronto a controllare come un cerbero eventuali foto e video amatoriali. Giustissime disposizioni, ma resta la fastidiosa sensazione di venire distratti dai continui ammonimenti mentre la leggendaria band londinese sale sul palco alle 21 spaccate.

In realtà, di leggendario è rimasto solo Steve Howe, magro come un chiodo, capelli bianchi e passo reso incerto dall’età. Entrato nel gruppo a partire dal terzo disco, "The Yes Album", Howe viene aiutato a imbracciare la sua Gibson ES-175 per dare inizio al primo set del concerto, sulle note della “The Young Person's Guide To The Orchestra” del compositore inglese Benjamin Britten. Dopo la triste dipartita di Chris Squire, nel 2015, al basso c’è oggi Billy Sherwood, accompagnato in sezione ritmica dal confermato Jay Schellen, subentrato al mentore Alan White dal giugno 2022. Due perdite pesantissime per il gruppo, tornato in pista dopo la pandemia con Geoff Downes alle tastiere e Jon Davison al canto. Subentrato a Benoît David dal 2012 su consiglio del compianto Taylor Hawkins, Davison si posiziona al centro della scena con i suoi capelli svolazzanti e un paio di pantaloni di pelle marroni. Grandi sorrisi e poche parole in italiano stentato, ma soprattutto uno stile vocale in falsetto che lo rende più simile a Jon Anderson.

Il primo set è aperto dal riff pachidermico di “Machine Messiah”, subito incalzato dalle tastiere futuristiche prima degli squarci acustici e dei repentini cambi di tempo in una delle suite più riuscite del disco “Drama” (1980). Il pubblico è attento, ascolta senza scomporsi più di tanto una musica che arriva al cervello prima che alle viscere, mentre Howe disegna schemi chitarristici guidando i fonici con un braccio. Il falsetto dolce di Davison conduce la successiva melodia pop dell’esotica “It Will Be A Good Day (The River)”, prima di acutizzarsi all’unisono con la pedal steel magistralmente stravolta in chiave blues da Howe in “Going For The One”.
Il primo recupero da un più lontano passato - che inizia a smuovere la platea ancora alle prese con l’ancestrale lotta con il personale di sala sull’utilizzo degli smartphone - è l’arioso prog-folk “I've Seen All Good People”, con la batteria di Schellen che sale di tono dopo un inizio più moderato. Howe saltella sul palco avviando la cover di “America” (Paul Simon), costruendo architetture dissonanti sul pulsare del basso martellante e gli svolazzi delle tastiere.
Il repertorio seventies in scaletta continua con il messaggio d’amore nella melliflua “Time And A Word”, seguita a ruota dall’insolitamente diretta “Don't Kill The Whale”, hit minore datata 1978 dall’album “Tormato”. Davison annuncia la fine del primo set con la brillante tristezza acustica di “Turn Of The Century”, salutando la platea dopo circa un’ora di concerto.

Si accendono le luci e qualcuno ipotizza sgomento la fine del live, ma il gruppo torna ovviamente per la seconda parte, con le presentazioni di rito a introdurre “South Side Of The Sky”. E’ il primo estratto dal capolavoro “Fragile”, dalle tonalità hard-rock che vengono però leggermente ammorbidite al cospetto di un pubblico che continua a non scomporsi più di tanto. E’ forse davvero passato troppo tempo da quel leggendario 1971? Che gli Yes siano ormai diventati uno di quei marchi sonici che possono permettersi il lusso di continuare a esistere al di là dell’approccio e della qualità generale? Infatti segue “Cut From The Stars” dall’ultimo disco “Mirror To The Sky”, composto a partire da quelli che sono sembrati degli scarti di lavorazione dal precedente “The Quest”.
Il secondo set del concerto non convince come il primo, soprattutto per la decisione della band di inserire una versione extra-concentrata della magniloquente suite dell’album “Tales From Topographic Oceans”. Lo stesso Howe parla di un breve riassunto di circa 70 minuti di musica, da “The Revealing Science Of God (Dance Of The Dawn)” a “Ritual (Nous Sommes Du Soleil)”. Come a volersi pentire di certi eccessi strutturali del progressive e presentare al pubblico un manualino tipo “Prog for dummies”. Il gruppo termina le operazioni per la seconda volta, lasciando spazio al bis che accontenta tutti. Il giro di basso inconfondibile di “Roundabout” scuote finalmente la platea, con la band che cede ai vecchi fasti dopo una scaletta di nicchia.

Il finale è affidato all’altro grande classico live “Starship Trooper”, aperto dalla melodia vocale di Davison e chiuso dall’ipnosi ossessiva e mistica nella magnifica coda strumentale. Applausi più convinti, il concerto finisce qui. Le scale mobili questa volta sono verso l’ancora più calma atmosfera nelle strade romane. Chissà se quei due spettatori dall’accento emiliano troveranno facilmente l’uscita, e soprattutto: come avranno preso questo strano concerto degli Yes?

Setlist

Set 1

The Young Person's Guide To The Orchestra
Machine Messiah
It Will Be A Good Day (The River)
Going For The One
I've Seen All Good People
America
Time And A Word
Don't Kill The Whale
Turn Of The Century

Set 2

South Side Of The Sky
Cut From The Stars
The Revealing Science Of God (Dance Of The Dawn) / The Remembering (High The Memory) / The Ancient (Giants Under The Sun) / Ritual (Nous Sommes Du Soleil)

Encore

Roundabout
Starship Trooper

Yes su OndaRock

Speciali