Gli algidi Autechre rappresentano l'avanguardia della scena ambient-techno mondiale. Le loro architetture elettroniche nascono da strutture complesse, basate su tempi inusuali e suoni distorti, con un uso massiccio di voci filtrate e riverberi digitali. Un progetto che raccoglie le fondamentali intuizioni di Kraftwerk e Tangerine Dream, aggiornandole con le sonorità del Duemila (Black Dog, Aphex Twin e Orbital in particolare). Ma rispetto ad altri esponenti di questo revival elettronico, gli Autechre vantano una maggiore ricchezza percussiva, che permette loro di forgiare un suono con caratteristiche più "industriali".
La band è un duo formato da Sean Booth e Rob Brown, due disc jockey della scena techno di Manchester appassionati di acid house. A scoprirli è la Warp, l'etichetta che aveva già pubblicato i lavori di Sweet Exorcist, Nightmare on Wax e B12 e che scriverà la storia dell'elettronica degli anni Novanta, con nomi quali Aphex Twin, Boards Of Canada e Plaid.
Preceduto dall'Ep "Cavity Job" (1991) e dalla partecipazione un anno dopo alla compilation "Artificial Intelligence" (che segna l'inizio della cosiddetta "Intelligent Techno"), arriva nel 1993 l'album d'esordio del duo britannico, "Incunabula" (1993): un'opera monumentale di ben 78 minuti, in cui risplende il loro sound strumentale, costruito quasi solo su battiti e accordi. La formula techno-logica degli Autechre - ritmiche destrutturate e sonorità cerebrali, suoni asettici e melodie impalpabili - si rivela quanto mai suggestiva, muovendosi tra gli acquerelli ambientali di Brian Eno e le scorribande spaziali dei tardi Tangerine Dream.
E' una musica meccanica, ma fluida, che utilizza liberamente trame di ascendenza jazz e sinfonica. Musica cerebrale e minimalista, minacciosa e rilassante al contempo, che nasce da un accurato dosaggio di apparecchi analogici e digitali. Come molti teorici dell’"ambientale", gli Autechre hanno in Gyorgy Ligeti un ispiratore nascosto. Ma nei meandri di "Incunabula" affiorano anche accenni all'hip-hop, alla musica indiana e ai ritmi africani, nonché una peculiare ricerca del "groove". I loro suoni, lenti e ipnotici, con variazioni minime di accordi su un sottofondo di percussioni in tempi dispari, sono insieme maestosi e desolati, lontani da ogni stilema comunemente associato alla techno. L'overture di "Kalpol Introl" è un accattivante cocktail di suoni vellutati, ritmica robotica e riverberi; l’iniziale riff elettronico appiccicoso è seguito da una nebulosa di note eteree à-la Popol Vuh, e da sottili trame melodiche. "Bike" è un balletto futurista, con il ritmo a librarsi su un tappeto di effetti sonori stranianti.
Il ricorrente passaggio dalle tempeste ritmiche a scampoli d’improvviso silenzio, in cui il synth resta a fluttuare da solo per qualche istante, acuisce il senso di mistero e di disorientamento. "Autriche" sembra invece provenire da un abisso remoto, con un coro simil-gregoriano che si delinea su un vortice di fluttuazioni sonore e di assoli stile free-jazz alle tastiere. "Bronchus" è una ulteriore divagazione ambientale, che introduce al trascinante singolo "Basscadet", propulso da ritmi più serrati e da percussioni latinoamericane, e fortificato da una muraglia di synth e campionamenti computerizzati. Il gioco si fa sempre più ammaliante al punto che, calandosi nelle atmosfere di "Eggshell" - progressione geometrica di melodia, ritmo trascinante e improvvisazione jazz - pare quasi di imbattersi nella magica "tanzmusik" dei Kraftwerk. E se "Doctrine" e "Maetl" sembrano voler accentuare la componente più cupamente techno del loro sound, "Winwind" e "Lowride" combinano una sofisticata ricerca tecnologica (fatta di loop, breakbeat filtrati, campionamenti e droni) con un suono suadentemente jazzy da "chill-out room".
La vischiosa "444", infine, chiude il disco nel segno di una dance ambientale di grande suggestione. Queste partiture meccaniche, in cui si inseguono sequencer, computer e drum machine, trasportano l'ascoltatore in un'altra dimensione, lo disorientano costantemente, facendogli perdere ogni contatto con la realtà terrena. L'effetto non è distante dalla trance psichedelica.
Sorta di galassia sonora, in cui l’ascoltatore fluttua liberamente, cercando di decifrarne i misteriosi codici, "Incunabula" è uno dei più criptici e affascinanti dischi di musica elettronica degli anni Novanta. Stilemi melodici, armonici e ritmici vi confluiscono in una gigantesca cattedrale elettronica all'interno della quale vengono alternativamente polverizzati o esaltati. Un’operazione coraggiosa, dunque, capace di rivoluzionare la techno, proiettandola nello spazio verso le sinfonie più audaci dell'ambient e della kosmische musik, e di influenzare una moltitudine di band (dai Kid 606 agli Oval, dai Pan Sonic ai Boards of Canada, dai Radiohead post "Kid A" ai Matmos). E una volta tanto alla sperimentazione arriderà anche un buon successo commerciale: "Incunabula", infatti, raggiungerà il numero 1 delle classifiche indipendenti britanniche.
26/10/2006