Primi mesi del 1970, "The Madcap Laughs" è appena uscito, riabilitando Barrett dopo la forzata uscita dai Pink Floyd. Convinti di una sua brillante e duratura carriera come solista, i manager fanno pressione su Syd per una nuova avventura in quel di Abbey Road, dalla quale trarre un altro disco di successo. "Ho solo 24 anni, sono ancora giovane, c'è tempo" sosteneva Barrett, manifestando una certa ritrosia a ritornare in studio a lavorare.
In effetti le sessioni di registrazione del suo primo lavoro solista erano state tutt'altro che una passeggiata: "Prendeva continuamente Mandrax. Era così sconvolto che durante quelle sedute la sua mano scivolava sulle corde, mentre lui cadeva dalla sedia" ricorda Storm Thorgerson, amico d'infanzia di Syd, nonché celebre autore di copertine rock per lo studio Hipgnosis.
Per convincere Barrett a tornare al lavoro si interpella un altro vecchio amico, Dave Gilmour, suo sostituto nei Floyd, già nelle vesti di produttore, insieme a Roger Waters, in "The Madcap Laughs": il chitarrista era ritenuto, a ragione, una delle poche persone, se non addirittura l'unica, in grado di stabilire una comunicazione fruttuosa col genio di Cambridge. Gilmour: "A quel punto avevamo solo tre alternative, se volevamo fare qualcosa con Syd. Potevamo lavorare con lui in studio, suonando mentre lui si occupava della registrazione; una cosa quasi impossibile. La seconda alternativa consisteva nel buttar giù una specie di traccia e poi fare in modo che lui ci suonasse sopra. La terza possibilità era che lui registrasse le sue idee di base da solo, con la chitarra e la voce; poi noi avremmo cercato di farne venire fuori qualcosa". Le terza ipotesi è la più gettonata, si lascia perciò piena libertà a Barrett di registrare dei demo, sui quali avrebbe successivamente lavorato Gilmour, con la collaborazione di Rick Wright, altro vecchio compagno di Syd nei Pink Floyd. Alla batteria viene chiamato il giovane Jerry Shirley.
La lavorazione comincia a fine febbraio e si protrae a lungo, il disco infatti vedrà la luce solo nel novembre del 1970, tra mille difficoltà. Nonostante la copertina, a cura dello stesso Syd, non si può certo dire che "Barrett" sia stato il classico pugno di mosche. Il trittico iniziale è spiazzante: "Baby Lemonade", "Love Song" e "Dominoes", tre gemme che si stagliano al vertice della produzione barrettiana. Tre canzoni d'amore, atmosfere in continuo mutare, ora acustiche, un attimo dopo pervase di un'elettricità appena sussurrata, di un saltellare sempre in bilico tra il cadenzato e il felpato, accomunate da quel mood dal sapore psichedelico, vero e proprio marchio di fabbrica del nostro.
"It Is Obvious", recita la traccia successiva, ma di ovvio non v'è davvero nulla: il canto di Barrett è stralunato, i versi cominciano a perdere definitivamente la via della ragione, la melodia si fa altalenante. E' il ponte che ci conduce verso la parentesi più folle del disco: i due strampalati pezzi blues "Rats" e "Maisie", seppur costruiti su un tessuto ritmico tanto trito e ritrito quanto caro a Barrett, brillano di luce propria per la loro stranezza, la loro diversità dal resto dell'album. Se in "Rats", l'incedere è ossessivo, in "Maisie" tutto si placa, con Syd che sembra addirittura voler giocare, insolitamente, a far la voce grossa.
Giunge poi il momento di "Gigolo Aunt", forse la canzone meglio "smussata" dell'intero album, che resta purtroppo anche l'unica al quale lo stesso Barrett partecipò anche in fase di registrazione definitiva. Caratterizzata da un basso incalzante, sul quale vanno a inserirsi efficaci ricami di chitarra elettrica e organo, strappa più di un sorriso per il testo bizzarro e ironico ("Perché so chi sei, sei una zia gigolo").
"Waving My Arms In The Air", una sorta di revival della Swinging London e di quei giorni in cui Syd guidava i Pink Floyd durante i loro primi e fortunati light show, magari proprio agitando le braccia in aria, riporta le melodie su binari più consueti, fondendosi con la successiva "I Never Lied To You", classica canzone d'amore che ricalca la fortunata prima parte del disco. "Wined And Dined", straordinaria nella sua linearità, spicca per delicatezza e perfezione nella successione degli accordi. Classica quiete prima della tempesta, è paradossalmente il viatico ideale per l'ultima brusca virata dell'album.
"Wolfpack", probabilmente il brano preferito dallo stesso Barrett, è sferzante come il branco di cui canta in maniera sofferta, con versi stranamente crudi ("La vita che per un attimo fu nostra/ è caduta via alla fine/ Breve roteare/ preda fresca/ gocciolante di carne e ossa"). Nel brano sembra quasi che Syd voglia riversare schizofrenicamente tutta la violenza latente del suo precario stato d'animo. Chiude il disco la stravagante filastrocca "Effervescing Elephant", una delle primissime composizioni di Barrett, risalente addirittura all'età di 16 anni e ripescata per l'occasione.
Pur con tutti i limiti di un disco nato da materiale di qualità neppure tanto superiore a un provino e un sound che Gilmour dovette inventare di sana pianta, non ricevendo dall'amico alcun moto di disapprovazione (né di approvazione, a dire il vero, se si eccettua un "grazie di tutto" a fine lavorazioni), "Barrett" possiede dei meriti che vanno al di là del punto di vista meramente musicale: straordinario collage di stati d'animo, è la perfetta trasposizione in musica dei conflitti interiori, dei ricordi sbiaditi, di amori e paure di una rockstar che svanisce, una vera e propria analisi dall'interno di uno stato di alienazione, purtroppo senza via d'uscita.
Superiore per carica emotiva al lavoro precedente, "Barrett" è il vero "testamento" artistico di Syd, l'ultimo acuto pochi mesi prima di lasciare quelle scene tanto intensamente quanto brevemente calcate, per rifugiarsi nel suo mondo fatto di piccole passioni, ingenue ossessioni e semplice routine quotidiana.
26/10/2006
* Nella prima edizione in vinile parte di un'unica traccia