Se esiste qualcosa di lontanamente paragonabile alle auliche e integerrime sinfonie di Beethoven, nel "volgare" ambito pop-rock, è senz'altro la musica di un uomo chiamato Tim Buckley, l'angelo tragico e depresso, isolato e schivo, semplicemente astratto... "Happy Sad" è la massima espressione dell'evocazione esplosa laddove confluiscono la sua personalità lugubre e il melodramma perfetto delle composizioni. "Happy Sad" è l'esperienza di una contraddizione, una sublime ma ambigua opera impeccabile. E' un museo di sensazioni, una rappresentazione intuitiva del neo-romanticismo, un turbine di flussi sinusoidali. "Happy Sad" è un disco, e la scoperta del molto altro che racchiude in sé è demandata alla nostra capacità di intelligere, e così vivere, un capolavoro.
Prendete "Dream Letter", sarete scaraventati innanzi alla meravigliosa desolazione di un pensiero vissuto in disparte, innanzi cioè allo status di uomo debole e indifeso, quindi uomo... Ascoltatela quando avrete voglia di tuffarvi nel ripiegamento su voi stessi o quando vi andrà di suggellare un momento extra-abituale: vi accorgerete della potenza dell'assorbimento di un sogno altrui. "Happy Sad" è un quadro realista ma onirico, una trasfigurazione sonora di una diavoleria di Fussli o di un bagliore di Turner. E se "Buzzin' Fly" ci fa capire come sublimare la classica esteriorità della musica folk, "Love From Room 109 At The Islander" ci riporta su un tappeto d'astrazione, di connubi divini. Pensate a questa canzone, nel caso doveste definire il termine "dilatazione"... Ed è geniale, oltre che ardita, la velocizzazione delle pause di "Love From Room 109 At The Islander" e "Dream Letter" attraverso l'enfasi di "Gypsy Woman", summa dell'intera carriera di Buckley. Un coacervo di stili, suoni, insegnamenti, tecniche e generi, culla di modulazioni vocali da brivido e distratte puntellature chitarristiche. La coralità strumentale è deliziosamente incoerente. E' l'esempio primordiale della musica che diviene "epica" attraverso ritmi vigorosi e battiti assillanti; è la dimostrazione di quanto sia impossibile rinchiudere l'estro in inutili schematismi. "Gypsy Woman" è anche la fuga di un immenso interprete verso la poesia fragile e delicata del chiaroscuro, l'esternazione della follia vocale che "libera" la musica, un'elegia dell'oblio.
Le prime avvisaglie c'erano già state nei sette minuti di "Strange Feelin'", anomala quanto coraggiosa divagazione verso l'universo cool jazz, ovvia apertura di un disco che apre una nuova strada all'autore, pregna di "osservazioni" ipnotiche e di urla interiori. Il degno congedo arriverà con "Sing A Song For You", il ritorno alla tenerezza estatica. "Happy Sad" è, con "Lorca", l'album più visionario di Tim Buckley ma qui, a differenza di quanto avviene nell'altro, la contemplazione dell'infinito è interrotta da danze primitive e caotiche che materializzano l'Assoluto. E' un via vai di preghiere e anatemi, di corse e stasi, di fervide sperimentazioni ed eccellente songwriting.
27/10/2006