Corre l'anno 1967. Dopo svariate e sfortunate avventure nel suo paese natale, Jimi Hendrix, sotto la guida dell'ex Animal Chas Chandler, vola verso il Regno Unito, dove gli vengono affiancati due musicisti: il bassista (di ripiego, in realtà il suo strumento è la chitarra) Noel Redding (di recente scomparso) e il batterista Mitch Mitchell. Nasce la Jimi Hendrix Experience, una delle band più importanti della storia del rock. Oggi, c'è forse nell'aria la tendenza a revisionare l'importanza che Jimi Hendrix ha avuto per l'evoluzione della musica, ma è una tesi non condivisa da chi scrive.
Il chitarrista di Seattle ha completamente e irreversibilmente mutato l'approccio alla chitarra elettrica, per molto tempo lo strumento principe e incontrastato del rock (almeno fino all'avvento del sintetizzatore) e, comunque, quello che più di tutti, fin dagli inizi, ha dato a questo genere quel marchio adrenalinico e un po' selvaggio, quel quid che lo caratterizza da ogni altra espressione musicale. Più del piano di Jerry Lee Lewis o di Richard Pennyman, alias Little Richard (con cui Jimi Hendrix ha suonato come session man per un breve periodo, tra l'altro), più dell'icona fantasma di Elvis Presley. Chuck Berry docet. Ve lo immaginate un rock senza chitarra? Si, certo, il kraut-rock (non sempre), gli Elp, i Nice, i Cop Shoot Cop… ma sono tutte evoluzioni di un genere musicale nato e cresciuto con la chitarra a far da padrona, sono delle "eccezioni" che confermano la regola.
Hendrix ha compiuto con il suo strumento una rivoluzione copernicana accostabile, forse, solo alle innovazioni apportate al modo di suonare la sei corde da Charlie Christian, Django Reinhardt, Chuck Berry e, al limite, Robert Johnson. Con Jimi Hendrix il feedback diventa un'arte, non più un fastidioso difetto (forse ne sanno qualcosa Sonic Youth & C), la distorsione, spinta ai massimi limiti, è potenza e delicatezza al contempo (il suono "duro" che oggi è infiltrato quasi ovunque, soprattutto fra certi gruppi della scena indie, nasce qui), le linee melodiche e armoniche della chitarra elettrica si intrecciano e si fondono con naturalezza e perfezione come mai in precedenza. La valenza catartica dell'atto musicale assume con il chitarrista di Seattle un nuovo e prorompente significato.
E' proprio il 1967 l'anno del Festival di Monterey, dove un Hendrix semi sconosciuto brucia e distrugge per la prima volta la sua chitarra, lasciando tutti allibiti, in primis gli altri chitarristi presenti al raduno (c'erano, fra i tanti, Pete Townshend ed Eric Clapton, considerati all'epoca i numeri uno). Hendrix è un ciclone che attraversa la scena del rock, proprio perché il rock è il genere musicale dove più che in ogni altro contano il suono e l'immagine, la forma, quindi, oltre che i contenuti, come si evidenzierà sempre di più col passare degli anni e con l'avvento dell'elettronica e l'evoluzione dell'iconografia rock.
Hendrix è allo stesso tempo un eccellente chitarrista ritmico e un grande solista - precursore di tanti "guitar hero" della storia del rock - ma quest'ultimo, paradossalmente, è il lato più sterile (anche se il più vistoso) della sua arte. O, meglio: i suoi proseliti hanno male interpretato il messaggio lasciato da Jimi Hendrix, portando al limite dell'attività circense il modo di suonare la chitarra elettrica e tralasciando quasi del tutto la sostanza della sua musica, che va ben oltre l'eseguire assoli in quantità.
Tralasciando la sua discografia completa e concentrandoci sul suo primo album, è d'uopo porre in evidenza come le sue canzoni siano complete anche se ascoltate con chiavi di lettura diverse, dal lato più squisitamente tecnico a quello più prettamente artistico o d'ispirazione compositiva. "Are you experienced'?" ha avuto un'importanza storica come pochi altri album, e ci ha lasciato una manciata di perle che oggi possono essere catalogate come classici del rock, "standard" per dirla col linguaggio del jazz.
Basti menzionare alcuni titoli (con una doverosa precisazione: alcuni di essi sono usciti come singoli, sempre nel 1967, ma riteniamo di considerarli un tutt'uno con l'album in esame, tanto più che essi sono compresi nelle attuali ristampe di "Are you experienced?"): "Hey Joe", ovvero come trasformare una banale cover in storia del rock, con quell'intro di chitarra sulla pentatonica di mi (anzi mi bemolle, visto che Hendrix suonava quasi sempre con la chitarra scordata di un semi tono, sia per poter adeguare le sue limitate capacità canore alle canzoni, sia per rendere la chitarra più maneggevole, soprattutto nell'esecuzione dei bending) che ha lasciato un segno indelebile; "Purple Haze", che inizia con una frase scandita su un intervallo di quarta aumentata (considerato in epoca medioevale niente di meno che l'intervallo del diavolo), prosegue con uno dei riff più celebri di sempre, accompagnato da una batteria marziale ed esplode con un giro tipicamente blues ma arricchito armonicamente dagli accordi usati da Hendrix, che vanno al di là delle semplici settime minori, in particolare dall'accordo di settima minore con la terza diminuita, non a caso diventato celebre nel rock come l'accordo à la Hendrix; "Stone free", un'altra lezione di grinta e potenza, non si riconosce ormai quasi più l'origine del rock and roll, né si intravede la via pop intrapresa da altri gruppi, Beatles su tutti; "Fire", un brano a mille all'ora, decisamente anticipatore di molti sviluppi della musica rock, con la batteria che quasi duetta con il giro iniziale di chitarra, è un'altra (è il caso di dirlo) pietra miliare.
Ma non sono solo fuoco e fiamme a caratterizzare questo album: "The wind cries Mary" è una dolcissima e malinconica ballata elettrica, come se ne vedranno molte in futuro; "May be this love" e, soprattutto, "Third stone from the sun", mettono in luce senza troppi complimenti la componente psichedelica di Hendrix (quest'ultima fa altresì intravedere una strizzata d'occhio al jazz), che, anche nei dischi successivi avrà una notevole influenza sull'arte di Jimi; "Red House", ovvero, come si suona il blues elettrico senza perdere il pathos tipico di questo genere. E, ancora: "Manic depression", con l'incipit su una scala cromatica inframezzata da una pausa (quasi la quiete prima della tempesta) e un tempo in 9/8, una sorta di valzer diabolico, presenta un assolo che lascia trasparire tutta la rabbia esplosiva di Jimi Hendrix, uno dei più devastanti dell'album; la celeberrima "Foxy Lady", con una struttura (anche armonica) fin troppo simile a "Purple Haze", uno dei brani più sopravvalutati di Hendrix, che si salva grazie a quel feedback iniziale, ormai entrato nelle orecchie di tutti; "Are you experienced?" presenta un altro dei marchi di fabbrica di Hendrix, l'utilizzo della reverse guitar, tecnica di studio che sarà poi utilizzatissima in futuro e della quale il Nostro è stato uno dei primi e, comunque, uno dei migliori, sperimentatori.
Non ci sono brani di serie B o riempitivi in questo album, anche quelli finora non menzionati hanno qualcosa da dire, da "I don't live today" a "Can you see me", da "Highway Chile" a "Love or Confusion" e "51st Anniversary", con l'unica eccezione di "Remember", uno dei brani minori dell'intero corpus hendrixiano. Ma non cambia la sostanza: "Are you experienced?" è, come già detto, un album seminale, un disco che ha gettato le basi per buona parte del rock fino ai giorni nostri (dall'hard rock più classico al punk fino ad arrivare al grunge, e scusate se è poco…), un album che ha avuto un impatto violento, paragonabile, sotto questo aspetto, a lavori del calibro di "The Piper At Gates Of Dawn", "The Doors", "The Velvet Underground & Nico" o "Freak out!", per citare – senza pretesa di completezza – opere coeve (o quasi) a quella in esame. Imprescindibile.
30/10/2006
* Brani usciti in origine come singoli, aggiunti all'album a partire dalla ristampa in Cd del 1984