Solitamente l'attribuzione di una data d'inizio a un movimento o a una scena, musicale o più latamente artistica, è un esercizio retorico, un'esigenza di (e)semplificazione che volutamente forza i contesti e le loro specificità. Più insolito che un punto sul calendario segni invece uno stacco inequivocabile, demarchi un prima e un dopo, perfettamente distinguibili e identificabili tra loro. Per la Corea quella data corrisponde all'11 aprile 1992. Certo, in teoria il 23 marzo dello stesso anno avrebbe potuto costituire una scelta valida, l'esibizione che però ha portato Seo Taiji e i suoi sodali a diventare tra le più grandi icone culturali del paese e rivoluzionare completamente l'assetto dell'industria musicale coreana segna uno spartiacque troppo evidente perché venga ignorato. Perché è di questo che qui si parla, di rivoluzione, di sovvertimento completo di un ordine e di creazione di uno nuovo, del lancio di un modello e di un immaginario che a oltre trent'anni dalla sua prima comparsa continua ancora a riverberare e ispirare l'intero sistema k-pop. Che lo si ami o lo si odi, che ispiri lunghe disquisizioni sociologiche o che sia la propria ragione di vita, la via coreana alla musica pop nasce qui, nucleo che ha infuocato le sorti di un'intera nazione. Questa è la storia di un uomo e della sua visione, di una sfida e del successivo trionfo.
E dire che tutto poteva andare in maniera decisamente diversa. Chiaro che la storia non si fa con i se e con i ma, ma il percorso artistico di Seo avrebbe potuto prendere una piega totalmente diversa, molto probabilmente anche di minore impatto. Con un percorso scolastico troncato di netto, e il desiderio di emergere come una rockstar in una Corea che faticosamente si avvia alla conclusione di una brutale e tenacissima dittatura, Jeong Hyeon-Cheol è uno dei tanti ragazzi che in quel periodo scoprono il fascino della musica rock e si buttano nella mischia di un genere che solo qualche anno prima avrebbe conosciuto gli strali della censura e della repressione. Con le proteste a essere cresciute in misura e portata (specialmente dopo i sanguinosi atti del massacro di Gwangju del 1980) e il progressivo sviluppo di un ceto medio dalle esigenze completamente diverse, anche la musica conosce un periodo di progressiva fioritura e diversificazione. Che sia a livello mainstream (l'emersione dei grandi balladeer del decennio, il consolidamento di una forma ibrida, poppizzata, del trot) o a livello underground, nella riscoperta dei linguaggi dei padri del rock nazionale (primo tra tutti Shin Jung-Hyeon) e nell'avvicinamento al contesto metal, tanti giovani e giovanissimi emergono con forza, condizionano il gusto, adattano spunti e influenze estere al loro contesto.
È proprio nei Sinawe, accreditati come la prima effettiva band metal coreana, che un diciassettenne Jeong, ormai già rinominatosi come Seo Taiji, si fa le ossa in veste di bassista, supportando la band formata da Shin Daechul (figlio del già menzionato Jung-Hyeon) durante la registrazione e le esibizioni a supporto di “Four”. È un'occasione preziosa, che il giovane sfrutta con tutta l'intensità del caso, rafforzando le sue doti di musicista e imparando a gestire i diversi aspetti della vita in una band. È però un'occasione destinata a chiudersi presto: Shin decide di interrompere improvvisamente le attività del gruppo nel 1991 (le riprenderà nel 1995, con un organico radicalmente rinnovato) e Seo si ritrova da solo, con un arsenale tecnico sensibilmente affinato ma nessuno con cui condividerlo. Fosse anche durata un anno in più, chissà l'esperienza dove lo avrebbe portato, se avrebbe insistito a dedicarsi a sonorità puramente metal o avrebbe prestato i suoi talenti in qualità di turnista di lusso. La sospensione delle attività si rivelerà invece il proverbiale male che non viene per nuocere.
Parallelamente al consolidarsi di una scena rock e metal che scalpita per raggiungere il grande pubblico, i tardi anni Ottanta vedono il graduale emergere di un contesto ben disposto nei confronti dei linguaggi dance e latamente urban. Le proteste del 1987, sfociate nella modifica della costituzione e quindi nelle elezioni presidenziali dirette, portano il paese a intravedere per la prima volta la possibilità di una democrazia, un avvio verso una società più libera e svincolata. La censura si allenta, il mercato si liberalizza, e nuovi suoni e tendenze cominciano a prendere piede, grazie al contributo di una generazione di ragazzi finalmente smarcati dalle maglie della repressione. Affiorano come funghi dance-crew, i linguaggi hip-hop e new-jack-swing si diffondono a macchia d'olio, i sintetizzatori e i software più in voga cominciano a non essere più oggetti di lusso nelle mani di rari cultori.
In questa temperie, Seo Taiji non rimane impassibile, anzi ne approfitta per accompagnare allo studio del basso l'approfondimento della tecnologia Midi, giunta in Corea solo da qualche anno, e perfezionare la propria sensibilità compositiva, in uno scambio costante tra le ispirazioni di una vita e nuove, ambiziose, ricombinazioni. Mancava giusto un tassello per completare l'opera.
Conscio che la musica è anche presentazione, che senza di essa difficilmente si centrano i giusti obiettivi, Seo va a caccia dei talenti giusti da cui ricevere lezioni in materia di ballo, naturalmente quello più alla moda, più vicino ai contesti urban studiati da vicino. È così che al chiudersi dell'esperienza con i Sinawe un Taiji in cerca di personaggi si imbatte in Yang Hyeon-Seok, ballerino di talento che a suo dire rimane semplicemente folgorato dalla musica di Seo. Sarà lo stesso Yang a mettere il musicista in contatto con Lee Juno, ballerino già famoso per le sue abilità e altrettanto impressionato dalla musica che Seo offre al loro ascolto. Così formato, il terzetto si prende il tempo per registrare, confezionare un album e concepire di tutto punto la propria estetica, sul palco e fuori. A Seo il compito di comporre e suonare, a Yang e Lee quello di elaborare le coreografie e le performance: anche così, il nome del trio non lascia spazio ai dubbi. Seo Taiji & Boys, questo il nome scelto, questo il titolo che accompagna l'uscita dell'album il 23 marzo del 1992, senza troppi frilli per la testa, ma con la consapevolezza di dirompente da offrire al pubblico.
Come tuttora di prassi in Corea (anche se con sistemi opportunamente modificati), la promozione della propria musica passa anche attraverso show e gare televisive in cui si compete con altri artisti/band alla volta di un premio/riconoscimento. L'occasione è ghiotta per i tre, per debuttare in uno dei più importanti palchi televisivi del periodo e impressionare platea e giudici. Quel che accade è più di un'impressione.
Coordinati, nell'attitudine e nello stile (giusto una nota di colore diversa a separare Seo da Yang e Lee), una coreografia articolata, capace di slanci acrobatici quanto di dare il giusto respiro alla parte canora, i tre debuttano il summenzionato 11 aprile del 1992 durante un talent show della Mbc con “Nan arayo” (trad. “Io so”). Sono i primi di tanti che si esibiranno, e la loro è già una miscela che demarca una differenza sostanziale dagli altri concorrenti: il taglio del brano è chiaramente new-jack-swing, l'ispirazione di base è di stampo hip-hop come da nutrito interesse dei tre, eppure non vi è soltanto la matrice black: il tocco pop, squisitamente emotivo del ritornello e gli inserti improvvisi di chitarre in scia industrial-rock danno l'idea di un parco sonoro e compositivo che va ben oltre un semplice ricalco delle proprie passioni. Passa piuttosto l'idea di un'attitudine ricombinante che non si ferma davanti ad alcun ostacolo, che anzi si esalta proprio nel rifuggire la precisione di genere. Anche così, e nonostante l'applauso convinto del pubblico in sala, niente aiuterà la band ad andare oltre un brutto ultimo posto: il testo è troppo trito, la melodia non ha slancio, e giù di osservazioni critiche da parte di una giuria che non lesina nel giustificare la sua scelta.
Ultimi nel talent show, Seo Taiji & Boys sono i primi nel cuore della gente: sarà per la freschezza dell'atteggiamento rap fino ad allora privo di una simile piattaforma, sarà per i collegamenti decennali/secolari alla tradizione della canzone d'amore che qui ritrova impulso interpretativo, ma la ricezione del pubblico è delle più esplosive. Nel senso più letterale del termine. Quasi in spregio di quanto espresso dalla giuria, la canzone diventa un momento di cultura popolare capace di unire una nazione intera.
Diciassette settimane consecutive alla numero uno, la coreografia emblematica, l'attitudine rap forte di un inatteso romanticismo: è un mix di caratteristiche che fa di “Nan arayo” il punto di non ritorno della canzone coreana, il passaggio da un universo espressivo a uno nuovo, con le sue regole e la sua organizzazione. È inoltre il trampolino di lancio per un album passato in sordina durante le prime settimane, ma che a seguito dell'impressionante notorietà acquisita dal singolo di lancio schizza a vendite colossali. Un milione di copie in un mese, senza contare quelle carbonare diffuse dalle radio e dai ghettoblaster dell'intero paese, la cifra quasi raddoppiata nel corso del tempo: “Seo Taiji & Boys” cementa ulteriormente il nome del terzetto e ne fa un appuntamento irrinunciabile tra comparsate in televisione ed esibizioni dal vivo. Poco importa che il versante critico intraveda pesanti ingerenze internazionali. Da qui non si torna più indietro, la cultura giovanile sale alla ribalta e con essa uno sguardo che non si sazia di soli contributi nazionali, vuole volgersi con decisione anche all'estero.
Occhio però a ritenere “Seo Taiji & Boys” come un album dedito a un mero rimaneggiamento di tendenze importate. Se è vero che l'impianto dance-rap di base rimanda alla passione di Seo per i protipi black, nondimeno l'autore è sufficientemente legato al contesto coreano per non dimenticarne il peso, per non basarci l'impianto delle sue composizioni. Non è solo una questione di dare una necessaria svecchiata all'intero sistema della ballata d'amore, lo stile d'elezione di tutti gli anni Ottanta: il carattere della musica di Seo si spinge più nel profondo, che sia l'atteggiamento testuale, l'eterodossia nei riferimenti o la prospettiva eversiva, rispetto a una società nella quale ha faticato a sentirsi parte integrante e che adesso lo tratta quasi come un semidio.
Fatta eccezione per il brano d'apertura (trenta secondi che apriranno ogni singolo album del gruppo) e quello di chiusura, quasi una sorta di accompagnamento teatrale al tema centrale, l'intero universo di Seo, compositore esclusivo dei brani, si dipana in mezz'ora di tempo, più che sufficiente a testimoniarne l'onestà e la natura esplorativa.
Secondo singolo estratto dall'album, “환상 속의 그대” (trad. “Tu nella fantasia”) è techno-pop acido tutto pause e ripartenze, fraseggio spezzato che si divincola tra scatti vocali da diva soul, campionamenti fuori contesto e brillanti interventi di chitarra, un mondo parallelo che il testo ben caratterizza. “Vivi in una fantasia, anche se tutto attorno a te sta crollando, stai ancora vivendo in una fantasia, rifiuti quello che è il vero te”, e ancora “la tua illusione è pericolosa, continua a dire che sei perfetto, continua a urlare che sei perfetto, ma guarda veramente te stesso”: in anni ancora non totalmente liberi, un simile attacco verso un mondo prestabilito, un sistema di illusioni imbastite apposta per favorire il conformismo, non suona propriamente come la visione più conciliante della società. Posizioni sfidanti su tessiture accattivanti: è un canovaccio che Seo utilizzerà con grande effetto (peraltro rincarando la dose) anche nei successivi lavori, attirandosi gli strali delle istituzioni ma il sempre crescente favore del pubblico. Pure ambiti ancora più vicini alla tradizione non rimangono propriamente immuni a questo trattamento.
Per quanto il grande romanticismo di “너와 함께한 시간 속에서” (trad. “Nel tempo che ho trascorso con te”) colleghi la penna di Seo a quella di autori osannati come Lee Moon-Se e Byun Jin-Sub, in un esercizio di sophisti-pop dall'atteggiamento sottilmente new age, “ 내 모든것” (trad. “Il mio tutto”) attacca alla giugulare del genere in un raffinato esercizio di de- e ricostruzione che sfrutta al meglio l'attitudine epica dei sintetizzatori per parlare di vergogna, ritrosia, indecisione. Che vi sia pure un nuovo contributo chitarristico è l'ennesima dimostrazione di un paradigma che non gradisce molto bene etichette nette, preferisce piuttosto operare in un continuum dove tutto, dance, hip-hop, rock, possano convivere senza alcun malinteso.
Ed è così che l'indisciplinato rinunciatario, il metallaro folgorato sulla strada dell'hip-hop diventa l'icona di un paese, la figura a cui ispirarsi, di cui provare a interpretare ogni singola mossa. Nel corso dei quattro album pubblicati assieme a Yang e Lee, Seo Taiji non rinuncerà a un centesimo della sua etica personale e prenderà sempre più a cuore questioni centrali alla società coreana. Soprattutto, non abbandonerà mai la passione per il rock e per il metal, puntando anzi a ibridazioni sempre più marcate di uscita in uscita. La spinta del pubblico, ormai riunitosi a formare una fanbase aggueritissima, porterà a una rivoluzione tale che pressoché tutto quello che prima era popolare verrà sempre più spinto nelle retrovie.
Dai Deux a Kim Gun-Mo, tanti nuovi interpreti e musicisti calcheranno le scene portando alla ribalta generi fino a poco prima impensati come r&b e house, dando un cambio radicale in materia di estetica, performance, temi affrontati. Certo, ancora un termine ombrello come k-pop non era stato ideato (bisogna aspettare la fine del decennio perché il vicino Giappone lo conii), ma il fermento generato da “Seo Taiji & Boys”, la natura frulla-generi della sua musica e il senso di attesa generato a ogni uscita continuano a riverberare tuttora nel fittissimo e iper-competitivo panorama musicale contemporaneo.
Certo, da un fermento generato da musicisti capaci di soppiantare lo strapotere delle emittenti televisive e portare a vittorie decisive in materia di libertà d'espressione (1) il controllo passerà poi in mano ad agenzie di talenti sempre più restrittive. Lo stesso Yang Hyeon-Seok fonderà la YG al termine dell'avventura con i Boys, diventando uno dei grossi primattori nella popolarizzazione e nella diffusione del k-pop dapprima in Asia, poi nel resto del mondo. Questo però non può essere direttamente imputabile a un musicista che finirà con l'essere nominato il Presidente della Cultura, che interromperà di colpo l'avventura a tre come un Paul Weller coreano, alla volta di un cammino solista più confacente alle sue esigenze. Nel bene e nel male, nel proliferare di boy e girlband e nell'esplosione della hallyu, l'onda coreana che si è abbattuta come uno tsunami in lungo e in largo per il mondo, Seo Taiji funge comunque da padrino d'onore, l'eminenza grigia che più o meno inconsapevolmente ha modificato le sorti di un paese intero. Se questo non è essere miliari...
(1) L'abolizione della legge della pre-censura avverrà proprio in seguito alla richiesta da parte della Korean Broadcasting Ethics Committee di modificare il testo di “Shidae yugam”, contenuta nell'ultimo album dei Seo Taiji & Boys.
Fonti utilizzate per questo articolo:
Kim Chang Nam - "K-pop - Roots and blossoming of Korean popular music"
John Lie - "K-pop: Popular music, cultural amnesia, and economic innovation in South Korea"
23/07/2023