Partiamo da una quasi certezza: i Jesus and Mary Chain sono stati la band britannica più influente degli anni Ottanta. Hanno dato vita consapevolmente o inconsapevolmente (ma importa?) a un sound unico, sovversivo concettualmente già in atto nella sei corde demoniaca di Jimi Hendrix e nelle orge rumoristiche dei Velvet Underground, ma filtrato, nel caso di specie, dal punk e da una sensibilità tardo-esistenzialista di matrice dark.
Dalla loro eresia pop presero spunto una serie di formazioni che elevarono quel sound a un altro livello, quello della trance trascendente (My Bloody Valentine) e dello "stordimento da overdose di ripetizione" (Loop).
A metà tra il frastornante candore etereo dei primi e il feedback-noise allucinato dei secondi si situarono gli Spacemen 3, tra gli iniziatori del movimento shoegaze, fautori di una musica capace di far coesistere dissonanze e slanci melodici, muri di suono e deliqui psichedelici. La creatura di Jason Pierce e Pete Kember riveste una posizione di tutto rispetto nel panorama della psichedelica inglese anni Ottanta, in quanto fonda la propria proposta musicale su suoni non esclusivamente riconducibili ai Velvet Underground, o al punk. Pierce ha una visione lucida, coerente, ma soprattutto enciclopedica della musica rock, e che lo spinge a cercare ispirazioni in "discariche radioattive" e in "pozzi di allucinazione desertica", ma su questo torneremo dopo.
"The Perfect Prescription" è il capolavoro degli Spacemen 3, e uno degli album più visionari della storia del rock. Le dieci tracce (alcune delle quali già presenti nei lavori precedenti) costituiscono un concept attraverso cui Pierce e compagni rendono in musica l'esperienza dell'overdose; è la sublimazione delle droghe, ma non tanto del loro uso, quanto più dell'esperienza che dall'uso ne deriva. Sono storie di giovani sbandati, illusi e delusi dalla vita, che trovano riparo nella trasgressione. Attorno a essa avviene la costruzione di senso, essendo il mezzo ma anche il fine (e la fine) del loro percorso esistenziale strumento attraverso cui alienarsi dalle regole di quel vivere civile perennemente in contrasto con le istanze e le rivendicazioni giovanili.
All'interno della confraternita shoegaze, gli Spacemen 3 propongono il sound che maggiormente si avvicina a quello dei maestri Velvet Underground; le progressioni e le iterazioni chitarristiche di Pierce e compagni producono una sorta di frastuono rumoristico ossessivo e soffocante, una trance visionaria in cui i riff e le melodie finiscono per perdersi senza essere più intelligibili come tali. I brani degli Spacemen 3 iniziano come canzoni ma collassano gradualmente su se stessi evolvendosi in buchi neri che inghiottono tutti i segni sonori che le contraddistinguono. È tensione emotiva che muta in perdita di orientamento e di percezione di senso.
Ciò che rende degli Spacemen 3 così peculiari e innovativi, tanto da non risultare dei semplici epigoni dei Velvet Underground, è la presenza (e quindi il recupero) nelle loro composizioni della migliore tradizione dell'avanguardia rock, dal krautrock ai Red Crayola. Il rumore organizzato e concentrico di "Take Me To The Other Side" o "Come Down Easy", ad esempio, non può non ricordare il caos orgiastico delle disarmonie psichedeliche di Mayo Thompson.
In virtù di questa commistione di suoni più o meno attigui, gli Spacemen 3 hanno fatto scuola e "The Perfect Prescription", in particolare, può legittimamente essere considerato tra i dischi più importanti degli anni Ottanta, indubbiamente influente sulle band della generazione successiva (come dimostrano per esempio i Bardo Pond). "Take Me To The Other Side" apre le danze e funge da manifesto per quello che sarà il sound del disco; le chitarre di Pierce e Kember affrescano un paesaggio radioattivo con straordinaria efficacia, l'una sullo sfondo a costruire una trance rumoristica ipnotizzante, l'altra in "Loop" a ripetere passaggi minimali grezzi e ossessivi.
"Walking With Jesus" (ripresa dall'Ep omonimo) è una ballata krauta completamente insabbiata in un magma di effetti psichedelici che dimostra come il sound degli Spacemen 3 risulti fastidioso anche nei momenti più soffici. "Ode To Street Hassle" è uno dei vertici toccati dal duo Pierce-Kember; Pierce omaggia Lou Reed riproducendo il suo canto parlato, mentre la chitarra è ancora impegnata a reiterare lo stesso tema all'infinito. Se "Ecstasy Symphony" anticipa il revival ambientale degli anni Novanta e "Transparent Radiation" è un'eterea rilettura dal repertorio dei già citati Red Crayola, "Things'll Never Be The Same" produce una trance snervante di puro rumore, capace di massacrare l'apparato uditivo. "Things'll Never Be The Same" è anche la dimostrazione di come il sound degli Spacemen 3 si presterebbe a generare composizioni lunghe ed elaborate, che potrebbero anche fare a meno del cantato; ma il gruppo è sempre rimasto ancorato alla forma canzone lasciando ad altri (Roy Montgomery) l'onere della sperimentazione.
Il concept si chiude con "Call The Doctor", ballata lenta e ipnotica, un bluesy hendrixiano completamente trasfigurato da rintocchi chitarristici minimali e dal canto cupo e angosciato di Pierce. È il collasso, in punto di non ritorno la morte psichica e l'apologia della droga come esperienza taumaturgica. Che dire? È inutile fare la solita chiosa: comprate il disco e basta.
10/11/2006