Piace a molti ricordare l'antagonismo tra punk e progressive con la maglietta "I hate Pink Floyd", sfoggiata da Johnny Rotten durante un concerto dei Sex Pistols: fu il simbolo della rivolta punk ai "dinosauri" del rock, il segno dell'incompatibilità tra la musica della nuova generazione e le idee che alimentavano la vecchia. Esiste però una pista segreta che connette (post-)punk e progressive, e pochi album la rivelano come il secondo dei londinesi This Heat.
Più di ogni racconto, è simbolica la loro formazione: Charles Hayward, batterista dal formidabile tocco jazzy, Charles Bullen, valente clarinettista riciclatosi come chitarrista, e Gareth Williams, gestore di un negozio di dischi, enorme conoscitore di musica underground, totalmente incapace di suonare alcunché, almeno agli esordi della band. Nella distanza che separa la formazione progressive di Hayward (batterista dei canterburiani Quiet Sun) dall'anarchico fai-da-te di Williams è racchiusa la sorgente della loro unicità, del loro carattere intrinsecamente divergente.
I This Heat erano assoluti outsider. Nacquero a ridosso della rivoluzione punk e ne condivisero molti aspetti: il suono animalesco, l'ostilità alla tecnica strumentale fine a se stessa, il culto del do-it-yourself, la volontà di riportare la musica sulla terra, nelle città, al centro delle situazioni politiche e sociali reali. Con le band dell'ondata progressiva, però, avevano almeno altrettanti punti di contatto: la perizia esecutiva di Hayward, la passione per gli intrecci ritmici fuori dagli schemi e le composizioni segmentate, la radicale avversione al blues, l'ambizione fortemente sperimentale, la cura dei dettagli. La loro natura duplice rappresentava un ponte seminascosto tra le frange estreme della galassia progressive - kraut-rock, Canterbury sound, Rock In Opposition - e il post-punk più urbano e intellettuale, legato al marxismo, al femminismo, al post-strutturalismo (dai Gang Of Four al Pop Group, passando per le Raincoats e i primi Scritti Politti).
Pianificazione, attuazione, manipolazione
"Deceit" è frutto di un'era di transizione, non solo musicalmente: uscì nel 1981, agli albori della "dottrina Reagan", con lo spettro della mutually assured destruction che tornava ad agitarsi. È sostanzialmente un concept sull'apocalisse nucleare, permeato dello stesso umore plumbeo che la band respirava in quell'epoca ("Eravamo convinti che saremmo morti tutti quanti nel giro di tre anni", avrebbe spiegato Hayward tempo dopo). A incutere ancora maggior timore era il senso di torpore percepito nella società, incapace di vedere la trama di inganni tessuta dal potere e dai mass media.
La traccia che apre il disco è proprio un invito al sonno dal paradigmatico titolo "Sleep", sospesa tra ozio e disillusione: "a life of ease / a life cocooned in a routine of food / stimulus and response". I suoi due minuti e poco più offrono un'introduzione "dolce" al suono della band, con un'andatura sonnacchiosa e un elemento folk ben in risalto, tanto nella nenia vocale botta-e-risposta quanto nel timido ritmo tenuto dai battiti di mano. Le cose cambiano radicalmente con "Paper Hats", da subito sghembissima e inquietante: la voce è lenta e lamentosa, poi strisciata e angosciosa; la chitarra è un groviglio sferragliante ripetuto senza variazione. All'apice del fragore, si giunge improvvisamente in una palude di geometria ritmica in stile Can - uno schema in 11/4 ipnotico e imprendibile, che sembra fermare il tempo.
Un commentatore d'eccezione svelò il segreto dietro ad architetture così astratte e calcolate: dopo aver assistito a una prova della band, Fred Frith degli Henry Cow ironizzò che i tre This Heat avessero passato tutto il tempo a litigare in termini astrusi su come la musica dovesse suonare ("La canzone dovrebbe andare in questa direzione e poi lentamente cambiare" / "No, va bene com'è" / "Anch'io penso che vada bene, ma capisco perché dici quello che dici" / "No, non deve cambiare perché dobbiamo mantenerla su un plateau uniforme")... Il tutto senza suonare una nota! Hayward, Bullen e Williams passarono tre settimane a discutere dei pezzi in questi termini, per poi concretizzarli in pochissimi giorni una volta imbracciati gli strumenti. In questo modo, riuscivano a unire lucidità e istinto improvvisativo, creando musica che non fosse veramente "composta", ma il cui andamento fosse previsto nel dettaglio.
Un altro contributo fondamentale per rendere "strutturato" materiale nato improvvisando fu dato dalla tape manipulation, il lavoro diretto sui nastri magnetici per far confluire in un unico brano musica registrata in momenti diversi (e magari per tracce diverse). I This Heat trafficarono con questo genere di tecniche fin dai loro primissimi momenti, e già il loro primo album era costituito in buona parte da loop vari sottoposti a taglia e cuci. Per i live si dotarono di due ingegneri del suono, uno addetto al missaggio, l'altro al trattamento dei nastri. Chi assistette ai loro concerti ammise di non essere in grado di distinguere tra la musica suonata "in diretta" e quella frutto della tape manipulation, anche perché spesso porzioni strumentali venivano registrate, modificate e riprodotte "al volo". Nessuno al tempo era abituato a cose simili. Un trucchetto molto amato dalla band era quello di entrare in un loop strumentale, tirarlo avanti per un po', dando il tempo al fonico di registrarlo, pet poi smettere di suonare e uscire dal palco, lasciando il pubblico sgomento davanti alla musica che continuava a uscire dagli amplificatori.
Tre brani brevi, "Shrink Wrap", "Radio Prague" e la conclusiva "Hi Baku Shyo" sono gli esempi più paradigmatici di impiego della tape manipulation. Quasi tutti i brani, però, sono in qualche modo frutto di questo tipo di tecniche. "Sleep", ad esempio, contiene una parte di "Shrink Wrap", e le due parti di batteria essenzialmente coincidono; la base ritmica di "Triumph" viene da materiale registrato molto prima; la melodia di "Independence" nasce dall'inversione di quella di "The Fall of Saigon", dal precedente lp, e anche i suoni di sfondo di "S.P.Q.R." risalgono alle medesime session.
Alle radici della violenza
Proprio con "S.P.Q.R." il disco giunge al nucleo del suo tema centrale, la cultura del terrore permanente. Questa è ricondotta all'Impero Romano ("We organise via property as power / Slavehood and freedom imperial purple / Pax romana! /Suckled by a she wolf / We turn against our brother"), ma l'ammissione "We are all Romans" la riproietta nel presente: come precisa "Cenotaph": "History repeats itself".
"S.P.Q.R." e "Cenotaph" sono legate anche sul piano musicale. A unirle è l'uso del tutto particolare delle armonie vocali: se nella stragrande maggioranza della musica pop le seconde voci sono più acute della melodia principale, qui le armonizzazioni si estendono invece verso il basso, recuperando schemi di derivazione folk, più antichi ed esoterici. Il senso di spaesamento è acuito dall'atipicità degli accordi creati dalle diverse parti vocali, spesso dissonanti e connessi in modo inconsueto. La condotta delle parti ricorda in effetti lo stile dei progressivissimi Henry Cow, influenzati dalla musica classica primo-novecentesca e dal folklore europeo; lo spostamento sulla sola voce del gioco armonico che negli Henry Cow emerge da una vasta gamma di strumenti consente però ai This Heat una resa sonora più spoglia, "svuotata", in perfetta sintonia con lo spirito del disco.
I This Heat seppero dunque traghettare l'anima ancestrale del folk tradizionale e la ricchezza armonica del progressive più ostico nei territori disadorni e ansiogeni del post-punk. La loro lezione fu fondamentale per tutta una schiera di band successive, specialmente americane che, partendo da lidi indie-rock, post-hardcore, alternative metal, diedero vita a nuove forme di progressive (su tutti, Thinking Plague, Cheer-Accident, Sleepytime Gorilla Museum).
"Makeshift Swahili" è invece un salto nel math-rock tagliente che sarà di Slint e Gastr del Sol. Chitarra e basso menano fendenti obliqui, si incrociano con la batteria e tracciano gli incastri più spigolosi dopo le due "Lark's Tongues" crimsoniane. Il pezzo dei This Heat ha però qualcosa che manca a quelli dei King Crimson: freddezza, furia e cattiveria, che unite al suono scarno e rumoroso danno vita alla musica più feroce e animale concepita fino a allora (e forse ancora oggi). La voce è un ruggito a un passo dal growl che sarà del metal estremo, e il bordone tenuto dall'organo rende il clima ancora più teso e inquietante. I racconti narrano che nei concerti Williams appoggiasse per terra una tastiera avuta in prestito da Dave Jarrett dei Quiet Sun e la percuotesse selvaggiamente, arrivando perfino a sanguinare, non per irriverenza punk, ma perché "era l'unico modo per ricavarne il suono adatto".
Se ciò non basta a render conto della fama di "band più violenta mai sentita", guadagnata già dopo pochi concerti, la parte finale di "Makeshift Swahili" fa svanire ogni dubbio. Il pezzo presente su disco è la fusione di tre incisioni, due in studio e una dal vivo - l'ultima. Appena questa inizia, il sangue raggela nelle vene: il sound è caos cristallizzato, gli strumenti non si distinguono; emergono solo le sciabolate affilatissime della chitarra, il fragore scrosciante dei piatti e le grida ferine di Williams. È l'inferno tradotto in musica.
21st Century Schizoid Men
Tutte le anime di "Deceit" convergono in "A New Kind Of Water", che è anche la concretizzazione più esplicita dell'umore mefitico che permea l'album. Il canto è inizialmente un lamento folk, ma con un crescendo vertiginoso muta nell'episodio più melodico del disco: un assalto corale all'unisono, epico e disperato, alimentato da un'angosciosa disillusione. Il testo riveste del sarcasmo più nero i presagi apocalittici che aleggiano su tutto il disco: quando l'industrializzazione e l'energia nucleare avranno reso il pianeta inabitabile, quando la corsa alla ricchezza avrà portato all'assoluta povertà, tutto quello che servirà sarà "un nuovo tipo di acqua, un nuovo modo di respirare".
I This Heat vedevano in questa illusione la condanna della loro epoca: una società ipnotizzata dall'inganno (in inglese deceit, per l'appunto), incapace sia di vedere la minaccia che di reagire. Ci furono molte discussioni nella band se il testo dovesse essere in seconda o terza persona plurale oppure in prima - era la differenza che passava tra un atto d'accusa e una disincantata ammissione di colpa. Prevalse la seconda visione: non era più possibile distinguere tra bianchi a neri, tra individui parte del problema e altri parte della soluzione. La continua necessità di un "mostro" esterno a cui imputare le colpe era parte del problema.
La copertina inizialmente immaginata per l'album doveva raffigurare il gruppo intento a suonare, con gli strumenti connessi direttamente a una centrale nucleare: il disco stesso era parte del problema. Si optò invece per un collage espressionistico in cui funghi atomici, mappe di arsenali nucleari, volti di Reagan e Breznev assumono la forma di una maschera scarnificata e urlante. Anche dall'analogia tra questo volto straziato e quello del "21st Century Schizoid Man" su "In The Court Of The Crimson King" passa la connessione segreta tra progressive e post-punk, di cui "Deceit" è l'irripetibile capolavoro.
24/12/2010