Mojave 3

Mojave 3

Preghiere per un raggio di sole

Reduci dalla fortunata esperienza degli Slowdive, Neil Halstead e Rachel Goswell decisero di staccare la spina dagli amplificatori e di rinunciare ai feedback e ai muri di chitarre distorte tipiche dello shoegaze per sposare un delicato folk-pop, appena sporcato da tenuissimi rimandi al passato. Il nome di questa storia è Mojave 3

di Enrico Iannaccone

La recente riscoperta dello shoegaze da parte delle nuove generazioni di critici e appassionati di musica rock ha dato rinnovato e ampio lustro alle gesta degli Slowdive, straordinaria band inglese che, tra la fine degli anni 80 e l'inizio dei 90, incise tre album che oggi sono unanimemente considerati tra i capolavori assoluti del genere. Meno nota ai più è la storia di ciò che accadde quando Neil Halstead e Rachel Goswell, i due soci fondatori degli Slowdive, decisero di staccare la spina dagli amplificatori e di rinunciare ai feedback e ai muri di chitarre distorte tipiche dello shoegaze per passare ad atmosfere più delicate e acustiche. Il nome di questa storia è Mojave 3.

Il primo lavoro della nuova band di Halstead & Goswell, in compagnia del batterista Ian McCutcheon (già negli Slowdive per "Pygmalion"), coprodotto dalla band con Paul Tipler, esce nel 1996 per la 4AD (come tutti quelli che seguiranno) ed è un oggetto davvero strano e fuori tempo in un periodo di transizione nel quale lo scenario della musica inglese è dominato dal britpop e dai nuovi suoni sintetici e danzerecci del trip-hop, della jungle, del drum n' bass. In questo contesto Ask Me Tomorrow, il primo album dei Mojave 3, passa decisamente in sordina e cattura l'attenzione di pochi ascoltatori immediatamente conquistati dai suoni rarefatti e intimi di un disco bello e non facilissimo, di un oggetto senza tempo che, s'intuisce subito, sarà foriero di sviluppi molto interessanti.
L'esordio dei Mojave 3, tutto sommato, non è molto lontano dalla musica degli Slowdive: certo, mancano le chitarre distorte e l'elettricità tipica dello shoegaze, ma le atmosfere, il mood complessivo sono inalterati rispetto al precedente gruppo e anche gli intrecci vocali tra Neil Halstead e Rachel Goswell rimandano chiaramente all'avventura Slowdive.
Il disco si apre subito in maniera estremamente suggestiva con l'avvolgente e delicata narcolessia di "Love Songs On the Radio", il primo singolo in assoluto della band, cantato da Rachel Goswell e chiaramente debitore della lezione di Cowboy Junkies e Mazzy Star. Il prosieguo dell'album si mantiene su ottimi livelli, alternando canzoni eseguite dalla sola Goswell a pezzi cantati a due voci con il socio Neil Halstead: si segnalano in particolare la struggente e intima "Tomorrow's Taken", che affronta il classicissimo tema della sofferenza annegata nel bere, e la più melodica e catartica "Candle Song 3". L'altro capolavoro del disco è senz'altro la conclusiva "Mercy", cantata a due voci e contraddistinta da un incedere quasi epico e da un piglio decisamente più elettrico rispetto al resto della raccolta.
Tirando le somme Ask Me Tomorrow è un album introverso e indolente, che ha diversi punti di contatto con le "Trinity Sessions" dei canadesi Cowboy Junkies e con un alt-country di stampo più americano che inglese. Le melodie escono poco, come soffocate in una sorta di commovente introversione artistica, eppure l'esordio dei Mojave 3 colpisce per la sua delicata rarefazione e lascia presagire eccitanti sviluppi futuri.

Sviluppi che arrivano puntuali con il secondo album inciso da Halstead e soci: Out Of Tune (1998) porta a compimento la maturazione artistica dei Mojave 3 verso un indie-pop sempre agrodolce e malinconico, ma decisamente più solare e a tratti persino allegro. Le sostanziose differenze s'intravedono già dalla copertina: se su Ask Me Tomorrow compariva un grafismo astratto e un po' tetro, su Out Of Tune campeggia un controluce sovraesposto con alcuni surfisti su una scogliera semideserta, un'immagine che colpisce, abbacina letteralmente e parla di luce e di pomeriggi passati al sole a guardare il mare e a riflettere pigramente sulla propria vita.
La musica della band sembra essersi liberata dalla cupezza introversa dell'esordio per volare verso una delicata e perfettamente compiuta forma-canzone. Il manifesto programmatico della nuova direzione intrapresa da Neil Halstead e soci è probabilmente la prima canzone della raccolta, la splendida "Who Do You Love", un brano solare e gradevolissimo, che infrange immediatamente il ricordo delle tetraggini di Ask Me Tomorrow per proiettare la band verso una dimensione decisamente più solare. Notevolissimi anche il secondo e il terzo brano, "Give What You Take" e "Some Kinda Angel", che negli intrecci vocali e nelle melodie rilassate (ma non prive di delicata malinconia) sembrano apertamente citare la west-coast di Crosby, Stills, Nash e Young.
Il resto del disco è piacevolissimo ma decisamente più "normale" e probabilmente non riesce a eguagliare i vertici toccati dal tris d'assi calato in apertura. La line-up della band è cambiata rispetto all'esordio: accanto ai soliti Halstead, Goswell e McCutcheon, entrano nel gruppo il chitarrista Simon Rowe (già presente in alcuni brani del disco d'esordio) e il tastierista Alan Forrester (che sostituisce Christopher Andrews). Proprio l'ingresso dell'organo Hammond di Forrester, con le sue melodie vivaci e solari, può essere una delle chiavi per spiegare l'evoluzione del suono della band. Peraltro Forrester dimostra di sapersela cavare bene anche con la macchina fotografica, essendo autore della bella immagine sulla copertina dell'album.
L'unica nota dolente di Out Of Tune risiede nel fatto che Rachel Goswell vede decisamente ridursi il suo ruolo di primo piano all'interno della band e la sua voce, già tenue e delicata, viene ridotta al sostanziale ruolo di corista, mentre aumenta esponenzialmente la centralità di Neil Halstead. Il disco è prodotto dalla band con la collaborazione di Mark Van Hoen, che lavorerà anche ai lavori successivi dei Mojave 3, sia nella produzione che nel ruolo di "additional musician", diventandone di fatto un componente aggiunto.

Dopo Out Of Tune si può dire che il capolavoro "è nell'aria" e, puntualmente, arriva con il terzo album datato 2000. Excuses For Travellers è il classico "disco perfetto", un gioiello di garbo, misura e eleganza. Ormai i tempi dello shoegaze sono lontani anni luce: la nuova raccolta dei Mojave 3 è un meraviglioso scrigno di cristallino indie-pop, con alcune canzoni di una bellezza semplice e sublime che non avrebbero sfigurato nel repertorio di Nick Drake. L'intera scaletta dell'album è da applausi: si passa dalla dolcezza riflessiva di "In Love With A View" alla quieta e delicata malinconia di "Trying To Reach You", dalle introverse e amare riflessioni della lunga (circa sette minuti) "Life In Art" all'ironica solarità della divertita e divertente "Return To Sender", dall'incedere quasi solenne della toccante "When You're Drifting" all'allegria diretta e ottimista della deliziosa "Anyday Will Be Fine".
Il climax dell'album si raggiunge probabilmente con l'ottava traccia, la meravigliosa "Prayers For The Paranoid" (curiosamente pubblicata in versione acustica nell'edizione europea e in versione elettrica nell'edizione americana). E' uno dei vertici assoluti del songwriting di Neil Halstead oltre che una sorta di manifesto poetico della band ("And thease clouds keep on rolling/ And I, I don't know why/ Take this guitar from my hands/ I surrender/ This town don't need drunkards/ Or singers of bad poetry/ They need dancing + drugs + laughter/ And we don't have them/ Just pray for us/ Pray for sunshine/ Thease days are cold/ And I'm missing you/ This letter was meant for your eyes/ Destroy it and then just go hide/ Your the only thing left/ That make any sense/ Please don't blow it").
Come per Out Of Tune, l'unica nota dolente di Excuses For Travellers è la definitiva constatazione che il ruolo di Rachel Goswell nella band si è ormai decisamente ridotto rispetto a qualche anno prima, sebbene la bella cantante continui a fornire il suo prezioso contributo come bassista e corista, oltre che come autrice e voce solista della delicata nona traccia, intitolata "Bringin' Me Home". Il disco si chiude con la graziosa "Got My Sunshine", brano solare e dai cori quasi gospel.
Non altrettanto memorabile, invece, la copertina dell'album, con un disegno stilizzato che riproduce un omino che imbraccia una chitarra, ma si tratta davvero di un dettaglio che non inficia certo un insieme a dir poco perfetto.

Dopo un capolavoro arriva sempre una piccola fase di riflessione e di ripensamento. Nei tre anni che separano Excuses For Travellers dal disco successivo, Neil Halstead decide di provare la carriera solista e, nel 2001, pubblica Sleeping On Roads. Il disco, coprodotto da Nick Holton e realizzato con i fidi Ian McCutcheon, Alan Forrester e Mark Van Hoen, non si allontana molto da quelli già realizzati con i Mojave 3, pur contenendo qualche elemento più sperimentale che Neil Halstead porterà avanti con il successivo disco della band.
La traccia-chiave per comprendere questo tentativo di evoluzione è la quinta, intitolata "See You On Rooftops", che inizia come una dolce e intima filastrocca in perfetto stile Mojave 3, per poi evolvere in una sorprendente cavalcata psichedelica che arriva a sfiorare i sette minuti. Splendida anche la terza traccia "Driving With Bert", ballad arricchita dalla struggente tromba di Mark Armstrong.
Il resto del disco è gradevolissima ordinaria amministrazione (sia pur di grande qualità), molto bella la copertina con un'illustrazione di Chantal Awbi.

Nel 2003 i Mojave 3 ritornano con Spoon And Rafter, probabilmente il loro disco più complesso e irrisolto. L'album si apre con la mini-suite di nove minuti "Bluebird Of Happiness", decisamente uno dei punti più alti dell'opera di Neil Halstead, uno splendido brano pop fortemente venato di psichedelìa. Purtroppo il resto dell'opera non appare all'altezza del notevole incipit: le canzoni hanno perso l'immediatezza che aveva contraddistinto i precedenti due lavori, per virare verso una sorta di pop scarno e introverso, a tratti screziato di psichedelìa, a tratti vagamente progressive, estremamente interessante ma anche poco immediato e fruibile.
Ridotto ai minimi storici il ruolo di Rachel Goswell (e, per l'ennesima volta, è davvero un peccato). Bellissima, invece, la copertina del disco, con un elegante digipack in cartoncino ruvido e una splendida illustrazione di ambientazione bucolica. Coproduce il fido Mark Van Hoen.

Nel 2004 si realizza un minimale ma significativo sogno per tutti i fan di Slowdive e Mojave 3: un disco solista di Rachel Goswell. L'album, intitolato Waves Are Universal e inciso come di consueto per la 4AD, non riscuote un grande successo di critica ma, a un ascolto attento, si rivela meritevole di rivalutazione.
Rachel Goswell, coadiuvata da Joe Light, David Naughton e Ashley Bates (ex-batterista degli shoegazer Chapterhouse) realizza un pugno di delicate ed elegantissime canzoni, mirabilmente in bilico tra il dream-pop dei Cocteau Twins e l'antica e gloriosa tradizione del folk britannico (magari nell'accezione elettrica declinata brillantemente negli anni 70 dai Fairport Convention) che, nobilitate dalla sublime voce dell'interprete, spesso riescono davvero a far sognare. E' proprio la dolce, introversa e suadente voce di Rachel il valore aggiunto di questo album sottovalutato, forse non un capolavoro in assoluto, ma comunque indispensabile per comprendere la parabola di Slowdive e Mojave 3.
Il disco si apre con la notevole "Warm Summer Sun", bella cavalcata folk che a tratti (soprattutto nelle "uillean pipes" suonate da Jerome Farrell) evoca fortemente gli straordinari Planxty di Christy Moore, gruppo irlandese tra i principali alfieri del folk celtico. Il momento più orecchiabile e accattivante della raccolta arriva con la terza traccia, intitolata "No Substitute", splendida ballata che inserisce Rachel Goswell nel solco del miglior cantautorato rock al femminile.
Con le sognanti "Delay", "Plucked" e "Hope" ci spostiamo invece dalle parti di Elizabeth Fraser e dei suoi Cocteau Twins, mentre più tese, elettriche e quasi shoegaze si presentano "Coastline" e "Save Yourself". Da segnalare, ancora una volta, la copertina del disco, con un'illustrazione di T. Jackiewecz, mentre nel booklet appare una nuova foto dell'amico Alan Forrester, evidentemente sempre a suo agio con una fotocamera tra le mani.

Il ritorno su cd dei Mojave 3 avviene nel 2006 con Puzzles Like You, ed è un nuovo centro. Il disco (inciso senza il chitarrista Simon Rowe) è probabilmente il più vivace e movimentato mai realizzato dalla band inglese, all'insegna di un indie-pop chitarristico fresco ed estremamente gradevole, che dimentica le atmosfere cerebrali e un po' tetre di Spoon And Rafter e recupera finalmente una Rachel Goswell troppo spesso trascurata nelle produzioni precedenti del gruppo.
Non ci sono cedimenti nella scaletta dell'album che inanella una serie di canzoni brillanti e coinvolgenti, riuscendo magnificamente a fondere la consueta attitudine agrodolce della band con le atmosfere ariose e chitarristiche di questo inaspettato "nuovo corso". "Truck Driving Man", "Puzzles Like You" e "Running With Your Eyes Closed" sono movimentate e divertenti, "Breaking The Ice", probabilmente il capolavoro dell'album, è l'ennesima canzone perfetta scritta da Neil Halstead, "Most Days" è una delicata ballad che riporta i Mojave 3 alle atmosfere di Out Of Tune ed Excuses For Travellers, "Big Star Baby" è intrisa di profumi west-coast, "To Hold Your Tiny Toes" è probabilmente la canzone più scatenata mai incisa dalla band, "Just A Boy" sorprende (e forse lascia un po' perplessi) con inaspettate e inedite atmosfere quasi post-punk, mescolate a bizzarre spezie country.
Deliziosa infine la pittorica copertina dell'album e il bel digipack a completare l'eccellente insieme. Peccato solo per l'assenza di un booklet con i testi.

Nel 2008 Neil Halstead decide d'incidere un nuovo disco solista e di imprimere una sostanziosa svolta produttiva. Il cantante inglese, infatti, rompe il decennale sodalizio con la 4AD e addirittura sceglie di realizzare il nuovo album per la prima volta negli Stati Uniti, più precisamente a Los Angeles per la Brushfire Records, con nuovi musicisti e l'inedita coproduzione di Robert Carranza. Bisogna dire che gli epocali cambiamenti di Oh! Mighty Engine hanno una logica indiscutibile: la musica di Halstead, infatti, ha spesso guardato al di là dell'oceano e i Mojave 3, sebbene con riferimenti alla tradizione indie-pop inglese, sono sempre stati un gruppo molto "americano", richiamandosi sovente all'alternative country e al folk statunitense. Comunque la si voglia vedere, resta un dato incontrovertibile: Oh! Mighty Engine è un disco splendido, che restituisce ai suoi fan un Neil Halstead intimo e delicato forse come non mai, con ballate lievi, sognanti e carezzevoli come una brezza primaverile.
Dodici magnifiche canzoni, piccoli gioielli preziosi da serbare gelosamente nel cuore e nell'anima: si parte con la delicata e rilassata title track, ballata per chitarra, voce e poco altro, che definisce immediatamente le linee guida dell'intero album, che procede per piccole, spesso impercettibili, variazioni sempre di grande gusto e sostanza, come la chitarra elettrica (ma non troppo) di "Elevenses", il pianoforte appena accennato di "Little Twig", il banjo di "Witless Or Wise", la batteria della (lievemente) ritmata "Paint A Face", l'autarchia di "Always The Good", "Sometimes The Wheels", "Spinning For Spoonie" e "Baby I Grew You A Beard", nelle quali Neil Halstead se la cava completamente da solo, con l'ausilio di chitarra, basso e, qualche volta, tastiere.
Bizzarra la copertina dell'album e abbastanza scarna la confezione in digipack, ancora una volta purtroppo priva di booklet.

Il terzo album solista di Neil Halstead, enigmaticamente intitolato Palindrome Hunches, esce nel settembre del 2012, dopo ben quattro anni di silenzio, un periodo probabilmente fin troppo lungo per le costellazioni del rock e dintorni che, nel moto perpetuo alla ricerca della “next big thing”, rischiano a volte di bruciare in fretta i propri idoli e di non avere la pazienza di attendere i tempi dilatati di un artigiano che cesella i propri lavori con la certosina pazienza di chi è poco interessato ai tempi serrati della fama e del successo.
La nuova raccolta, pubblicata come la precedente dalla californiana Brushfire Records e co-prodotta da Nick Holton, già al lavoro con Halstead per Sleeping On Roads, è probabilmente la più scarna ed essenziale mai incisa dal musicista inglese nella sua ormai lunga carriera: chitarra, basso, qualche accenno di pianoforte, occasionalmente degli archi a conferire al lavoro chiare accezioni folk.
Le undici tracce si dipanano lungo il filo rosso che collega l'inesauribile patrimonio della musica popolare britannica al cantautorato sommesso ed emozionante del grande Nick Drake, fino alla contemporaneità di giovani (re)interpreti della tradizione come Alexi Murdoch. Il meglio del nuovo album di Neil Halstead è probabilmente racchiuso nelle intime e toccanti atmosfere Mojave 3 di “Digging Shelters”, nel gradevolissimo indie-pop (con qualche reminiscenza dei Belle and Sebastian) della ballad “Bad Drugs And Minor Chords”, nella malinconia (quasi orgogliosamente rivendicata come vocazione esistenziale?) della lunga ed elegantissima “Wittgenstein's Arm”, nel folk solenne e forse un po' ombroso della splendida “Tied To You”, nella melodia semplice e “pulita” della carezzevole “Full Moon Rising”.
Nell'insieme, anche nei suoi episodi forse meno significativi, Palindrome Hunches scorre via piacevolmente, recando con sé il sapore, o forse solo l'illusione, di una passeggiata nel mesto splendore di un pomeriggio di fine estate lungo le scogliere della Cornovaglia (da anni dimora di Halstead), con il mare a incontrare il cielo e a fondersi con esso in mille sfumature di grigio cangiante, le stesse dipinte dalla musica di un artista schivo e riservato, che ha fatto dell'intimità e della struggente malinconia la propria inconfondibile cifra stilistica.

Verso la fine del 2013, dopo tanti anni di stretta osservanza indie-pop, Neil Halstead prende l'inaspettata decisione di recuperare le sonorità elettriche e shoegaze dei mai dimenticati Slowdive per calarle nelle ambientazioni psichedeliche e spaziali di un nuovo progetto denominato Black Hearted Brother, in stretta collaborazione con gli amici Nick Holton e Mark Van Hoen. Stars Are Our Home, esordio del trio, al netto di qualche lungaggine di troppo, è un lavoro interessante, che rischia di diventare un nuovo punto di partenza nella vicenda umana ed artistica dell'introverso musicista inglese.
Con i Mojave 3 ormai in pausa da troppo tempo, aumenta la nostalgia per il sublime marchio di fabbrica di una band che purtroppo non ha mai riscosso il successo che pure avrebbe meritato: restiamo in attesa di ulteriori sviluppi con l'auspicio che il sogno possa continuare.

Mojave 3

Discografia

MOJAVE 3
Ask Me Tomorrow (1996)

8

Out Of Tune (1998)

7,5

Excuses For Travellers (2000)

8

Spoon And Rafter (2003)

6,5

Puzzles Like You (2006)

7,5

NEIL HALSTEAD
Sleeping On Roads (2001)

7

Oh! Mighty Engine! (2008)

7,5

Palindrome Hunches (2012)

7

RACHEL GOSWELL
Waves Are Universal (2004)

7

BLACK HEARTED BROTHER
Stars Are Our Home (2013)
Pietra miliare
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