Pur considerati a ragione tra le formazioni simbolo del movimento shoegaze, alla stregua dei vari My Bloody Valentine, Ride e Catherine Wheel, gli Slowdive di Neil Halstead e Rachel Goswell hanno da sempre spinto il loro sogno melanconico in molteplici direzioni. Già nel magico esordio "Just For A Day" (Creation, 1991), era chiaro che le nebulose di riverberi e le fugaci tempeste di rumore fossero soltanto uno dei mezzi utilizzati dalla formazione di Reading per costruire dei sogni musicati come li avrebbe pitturati William Turner. Pur più canonicamente shoegaze, il capolavoro successivo, "Souvlaki" (Creation, 1993), in brani come "Souvlaki Space Station" e "When The Sun Hits", apriva le porte alla neo-psichedelia e allo space-rock. La varietà di ispirazioni e possibilità della band si faceva poi ancora più chiara in "Pygmalion" (Creation, 1995), disco che avrebbe posto fine all'esperienza del gruppo per ben 22 anni tra reiterazioni ambient pop e dissolvenze elettroniche.
Che Halstead e Goswell, con gli intrecci eterei delle loro voci e la capacità ineguagliabile di musicare i sogni, potessero realizzare altri tipi di magie era lapalissiano. Meno chiaro era invece che i due inglesini si sarebbero potuti spingere così lontano, fino al deserto californiano che intitola la loro seconda incarnazione. Men che meno si poteva prevedere che in questi lidi, così distanti dai loro principi, avrebbero potuto realizzare dei nuovi capolavori. Ma, del resto, se c'è qualcuno che non conosce limiti, questi è il sognatore.
Dopo l'uscita di "Pygmalion", Halstead vedeva nelle astrazioni del disco appena pubblicato un punto di non ritorno e sentiva che il percorso della band era finito. Quasi allo scopo di disintossicarsi da quel genere di suoni, cominciò ad ascoltare tutt'altro, immergendosi presto a tempo pieno nella riscoperta di cantautori essenziali come Nick Drake e Leonard Cohen, recandosi presto anche nei saloon polverosi di Townes Van Zandt e Gram Parsons. Un ritorno alle radici del songwriting che lo portò a imbracciare la chitarra acustica e scrivere decine e decine di canzoni, spoglie delle armature elettriche dell'avventura shoegaze.
Nel frattempo gli Slowdive, complice il fatto che dopo l'uscita di "Pygmalion" furono scaricati dalla Creation, erano ormai nel cassetto. Tuttavia Halstead continuava a sentirsi molto spesso con Rachel Goswell, praticamente la sua metà musicale, e con Ian McCutcheon, delicato batterista degli Slowdive subentrato a Simon Scott proprio per l'ultimo disco (della prima fase) della band. Presto i due raggiunsero Neil nel suo studio casalingo di West London e cominciarono a lavorare sulle canzoni che questi aveva scritto. Quando la neonata formazione si rese conto che da quello che inizialmente era una sorta di processo detox di Halstead stava nascendo, per l'appunto, una nuova band, decise di registrare qualcosa di più compiuto presso gli studi della Emi, dove li raggiunse il talentuoso tastierista turnista Christopher Andrews.
Quando Ivo Watts-Russell si trovò sulla scrivania il primo demo della nuova band di Goswell e Halstead, questa ancora non aveva un nome. La cassettina era infatti accreditata agli Slowdive, motivo per il quale il patron della 4AD inizialmente non aveva avuto voglia di ascoltarla, sapendo che il progetto era stato rigettato dalla Creation. Fortuna volle che Russell alla fine si convinse ad ascoltarla. E ne venne rapito immediatamente. A portarlo altrove furono limpide tessiture di chitarra, country nell'istinto, ma lente, lentissime, come il più trascinato slowcore, intrecci vocali rapinosi, dolci come una crema, e l'immancabile atmosfera onirica. Una via brit agli incanti dei Mazzy Star e alle trasfigurazioni country dei Cowboy Junkies.
Russell era rimasto così entusiasta di ciò che aveva ascoltato che voleva pubblicarlo così com'era. Fu Goswell a convincerlo a pazientare qualche mese, in modo da poter registrare qualche canzone in più e comporre un intero Lp. Vinta la ritrosia iniziale, il produttore accettò la richiesta della cantante. Per registrare le ultime canzoni che avrebbero composto "Ask Me Tomorrow" fu chiamato in studio il chitarrista dei Chapterhouse, Simon Rowe, che si sarebbe poi aggiunto alla band in pianta stabile. Con un disco praticamente pronto a soli 8 mesi dall'uscita di "Pygmalion", era l'autunno del 1995, al gruppo serviva ora solo un nome. La scelta ricadde su Mojave, moniker suggerito da un amico della band e ispirato dal suono aperto "come un deserto" delle sue canzoni, mentre il 3 venne aggiunto a causa dell'omonimia con una formazione tedesca.
Note di chitarra lunghe e languide, il drumming spazzolato di McCutcheon, il passo lentissimo: a "Love Songs On The Radio" bastano una decina di secondi per creare un'atmosfera unica e impattante. È una di quelle opener capaci di costruire un universo, dove dovranno poi muoversi le altre canzoni, prendere vita altre storie. In questo scenario luminoso e aperto, dove ogni suono si propaga morbido in uno spazio senza barriere, piomba poi la voce di Rachel Goswell, nuda come non l'avevamo mai sentita (ai tempi degli Slowdive). Le sue parole d'amore non corrisposto, dolci come quelle delle canzoni romantiche alla radio, irradiano una malinconia zuccherosa e insinuante di fronte alla quale non si può che arrendersi.
La successiva "Sarah" è interpretata da Neil Halstead, ma le delusioni amorose, sotto forma di muri, dietro i quali nascondersi e piangere, e di desiderio lancinante, sono ancora l'ingrediente principale di una ballad alt-country giocata su un cristallino intreccio di chitarra e pianoforte. Non cambia lo scenario emozionale, si fa anzi ancor più drammatico, al chiaro di luna di "Tomorrow's Taken": Goswell ha perso fiducia nel domani, non le resta che pensare all'amore che fu abbracciando una bottiglia di vino ("I'll take another shot and think about you/ 'Cause a bottle of wine is all I have to hold"). Verso la metà del brano, quando questo sembra destinato a spegnersi, il pianoforte e la chitarra fanno un passo indietro e lasciano che a danzare al ritmo della batteria abbozzata sia il violoncello di Audrey Riley.
It's Christmas again so we lit all the candles
And we tried to pretend that your room was a palace
But we can't seem to shake off the fear
That nothing is different, that no-one has changed
Nothing has changed
Pur lievissimo, adornato com'è da note acute di chitarra acustica appena pizzicata, l'incipit di "Candle Song 3" ha una forza evocativa e una capacità travolgente di costruire immagini vive nella mente dell'ascoltatore. Siamo al tepore dei ceri natalizi, stretti a qualcuno con il destino incatenato al nostro, come la chitarra al pianoforte e la preghiera di Neil ai cori fatati di Rachel.
Il tema amoroso che scorre tra le note dei primi quattro brani di "Ask Me Tomorrow" permea anche il lato B del disco, sia nel delicato arpeggiato di "You're Beautiful" che nella malinconica ballad alt-country "Pictures"; la trasognata dolcezza evocata dagli arrangiamenti confligge con uno struggimento profondo e inguaribile e con l'impalpabile certezza che l'amore, consumatosi, si sia spento definitivamente. "Where is the life that we had/ Where is the love", si chiedono infatti in "Where Is The Love" le voci di Halstead e Goswell.
Ecco che in questo scenario "After All" diviene un potente manifesto di resistenza emotiva. Avvolta in un mantello di solitudine, la canzone espone con semplicità disarmante un desiderio universale: la ricerca del calore umano come rimedio all’oscurità che ci circonda:
After all we're only looking for a light
Just someone to hold us close
After all we're only looking for a love
Just something to make it right
Il vero rito di purificazione si compie però sul finire del disco. Grazie all'incedere marziale delle percussioni, alle solenni linee vocali e al ruggito graffiante della chitarra elettrica, "Mercy" si innalza nel firmamento con le sembianze di una maestosa orazione laica, ultima testimonianza di quella profonda disconnessione sociale e relazionale che è sottesa al discorso poetico di tutta la raccolta.
"Ask Me Tomorrow" è in definitiva quanto di più diverso potesse esserci dall'ultimo grande album degli Slowdive. Laddove "Pygmalion" era dominato da un forte sperimentalismo e da un tentativo di estrema astrazione dalla forma metrica tradizionale, il debutto dei Mojave 3 si reindirizza invece proprio verso le radici della canzone folk e pop e si immerge nei paesaggi desertici nordamericani. Sotto le vampate pungenti del sole del Mojave Desert, languidamente mosso da una vena profondamente sentimentale, il gruppo ha dato vita a un'accorata commistione tra l'onirismo del dream-pop, gli spazi aperti dell'Americana e il dolore dello slowcore. Qualche anno dopo, perfezionate le dinamiche sonore, la band fece nuovamente centro realizzando quel capolavoro emozionale che è "Excuses For Travellers". Neil Halstead inaugurò poi nel 2002 una carriera come solista, che lo avrebbe condotto ad avventurarsi ancor più nell’eredità folk, non solo statunitense, ma anche e soprattutto inglese.
Con il concretizzarsi della reunion della formazione originale degli Slowdive nel 2017, è diventata improbabile l'eventualità che Halstead, Goswell e compagni possano ritrovarsi di nuovo ad abbracciare il lento suono delle sabbie ardenti che ha ispirato i cinque dischi pubblicati dai Mojave 3. Tuttavia, proprio alla luce della seconda vita della prima creatura del musicista inglese, la rottura discografica che egli ha compiuto con "Ask Me Tomorrow" andrebbe ora riletta con una visione più ampia, sulla lunga durata, perché, nonostante le fratture metodologiche tra i muri del suono shoegaze, i landscape ambient e il mesto espressionismo acustico, nel canzoniere di Halstead s'intravvede un unico nucleo lirico e melodico: quello di un canto che sublima in sogni sonori la solitudine, la nostalgia e lo smarrimento inerente all'esistere. Così fu nel 1990 con "Slowdive"; così era ancora nel '95 con "Ask Me Tomorrow"; così avviene ora, nel 2023, con "Kisses", dove shoegaze e dream-pop incontrano finalmente il sole abbacinante del deserto in un magnifico spettacolo di rifrazioni luminose.
03/09/2023