La chiamava Cosmic American Music ed era la miscela perfetta: la tradizione country per la prima volta sedeva sulla motocicletta del rock'n'roll, o se preferite, il vino proibito del folk bianco veniva assaporato di nascosto durante la cerimonia soul di mezzanotte.
Era riuscito in questa fusione sensuale, scoppiettante: il suo viaggio, la sua missione, consisteva nel trasportare gli ascoltatori verso quella nuova dimensione, accompagnarli più in alto, cullarli con la sua voce profonda, passionale e poi scappare via, a cento all'ora, sull'onda lunga di una pedal steel guitar, di un pianoforte scordato da saloon, una chitarra elettrica o un violino ubriaco.
Lui sapeva come accenderti, come farti andare su di giri. Ma conosceva anche le corde segrete dei sentimenti, sapeva come farle vibrare dolcemente, facendole risuonare dentro di te. Senza i suoi insegnamenti non so proprio dove sarebbero oggi molti paladini del genere "alternative country".
(Pamela Des Barres, la groupie numero uno di Los Angeles)
"Bastava guardarci negli occhi, la nostra intesa era istantanea. Eravamo noi due, nello studio di registrazione, il nastro scorreva e tutto il mondo era racchiuso in quelle quattro mura, in quelle quattro strofe di ballata malinconica. Lui cantava e io lo accompagnavo, armonizzando in perfetta sincronia. Non scorderò mai la prima e unica tournée insieme: una cavalcata selvaggia, un viaggio on the road epico e sgangherato, pericoloso, improvvisato, roba da Bonnie e Clyde!
Gli devo tutto: fu lui (su consiglio di Chris Hillman) a scoprirmi, lui a venirmi sentire in una bettola di Washington D.C per propormi il trasferimento a Los Angeles, così avrei potuto cantare nel suo album da solista, 'GP'. Avevo venticinque anni, una buona disciplina, sapevo ciò che volevo.
E innamorarmi di quella sua anima, così leggera e profonda allo stesso tempo, di quel suo spirito misterioso e sognatore... ecco, fu la cosa più naturale, più spontanea del mondo.
Pensando a lui scrissi 'Boulder To Birmingham' e 'The Road', due pezzi ai quali sono particolarmente affezionata. Era troppo fragile per fare la rockstar, ed è rimasto vittima dei suoi tempi. La sua presenza, il suo sorriso, la sua gentilezza e sensibilità mi mancheranno per sempre".
(Emmylou Harris, cantautrice e partner musicale)
"Mi ricordo di lui. No, non l'ho mai conosciuto. Però sentivo che aveva qualcosa.
Un talento raro, un tocco incantato. Dalla sua musica, addirittura dalle foto pubblicate su Rolling Stone potevi intuirlo. Un'aura scintillante negli occhi, un'espressione di sfida, la stessa che hanno i bambini quando sanno di averla fatta grossa e in un certo senso se ne vantano.
Era più veloce di tutti gli altri: un pistolero da far-west, un pirata, un gentiluomo del Sud. Ai tempi di 'Harvest', quando l'America se ne stava ai miei piedi... beh, ecco, c'era un sacco di gente intenta a spiare senza vergogna nel mio zaino da esploratore, a vivisezionare i miei trucchi, o quelli di David, di Stephen, di Graham. Ma le aquile non volano a stormi, avrebbero dovuto saperlo. E lasciate che vi dica una cosa: in mezzo a tutto quel country-rock spazzatura, intercambiabile, d'imitazione coreana, c'era ancora qualcuno. Qualcuno che sapeva davvero come cantare d'amore e poi farti sobbalzare dalla sedia a un ritmo indiavolato. Per quanto mi riguarda, lui è stato l'equivalente di Elvis per il "country rock" degli anni Settanta. Ha cambiato le carte in tavola, ha piantato il seme della tradizione nel cuore degli hippie, e poi se n'è andato. Che il deserto vegli sulla sua anima vagabonda".
(Neil Young)
"La notizia della sua morte mi arrivò mentre eravamo al Record Plant, a lavorare su 'On The Border', il disco che ci avrebbe lanciati a livello internazionale.
Inutile dire che rimasi profondamente scioccato, ferito a morte. Stavamo per fare il grande salto e a lui, naturalmente, auguravo lo stesso, anzi sapevo che ci sarebbe riuscito, un giorno o l'altro.
Aveva lasciato la moglie e se n'era andato a Joshua Tree, come tante altre volte in passato. E io sapevo che era pulito: beh, almeno lo era stato per quegli ultimi mesi.
Per me era come un fratello, molto più di un ex-compagno di band. Purtroppo era anche uno spirito fin troppo ribelle, uno di quelli che corrono sempre troppo, troppo veloce, persino per i suoi tempi. Eppure sapeva come commuoverti: gli bastava sfiorare il pianoforte, o la chitarra acustica. E allora sentivi il vento tra gli alberi di Waycross, Georgia, o di Winterhaven, Florida, le città dov'era cresciuto. Ascoltavi la canzone della terra, del cielo. E provavi un dolore piacevole, di quelli che ti colpiscono senza farti male. Era capace di commuoversi mentre cantava certe canzoni, così che anche l'ultima delle cameriere aveva l'impressione che lui stesse lì solo per lei.
Le sue emozioni arrivavano dal profondo, zampillavano fuori con una sincerità, un'onestà e una purezza... senza paragoni. Scrissi 'My Man' tramortito dalla commozione per la perdita, un brano che poi mi lasciarono inserire su 'On The Border'. Col senno di poi, posso dire che molti altri da quel momento sarebbero passati alla cassa, a riscuotere le royalties di dischi senza infamia e senza lode, incisi seguendo fedelmente alcune delle istruzioni visionarie dettate da Gram Parsons.
Persino la mia band, e mi costa doverlo ammettere: eravamo diventati un luna park in stile 'Boogie Nights', un'accozzaglia di ego smisurati e capricciosi, ben distesi su ville con piscina da un milione di dollari, con il corredo d'ordinanza di pellicce pacchiane, baffi, montagne di cocaina, bionde sorridenti e disponibili. Per questo che me ne andai: non avevo intenzione di indossare quella maschera a tempo indeterminato. Io ero lì per la musica. E anche Gram".
(Bernie Leadon, membro degli Eagles dal 1971 al 1975)
"Me lo vidi davanti per la prima volta un giorno di febbraio, nel bel mezzo di uno di quegli inverni caldi e dorati che capitano soltanto a Los Angeles. Io ero in banca, a Beverly Hills, a fare fila.
Mi trovo davanti questo ragazzo, vestito in maniera stravagante, eccentrica, con un sorriso a centodue denti. Attacca bottone con me, mi dice che suona la chitarra, evidentemente sa chi sono, conosce i Byrds (come un po' tutta la California). Si trova lì per ritirare un assegno mensile, una sorta di vitalizio intestatogli da suo nonno, un potente e ricchissimo magnate degli agrumi. Cominciamo a raccontarci dei nostri idoli: di Merle Haggard, di Buck Owens, di George Jones, e quel ragazzo mi interessava sempre di più: il fatto è che avevamo bisogno di rimpiazzare David Crosby, uscito dal gruppo qualche mese prima, così avevamo organizzato un po' di audizioni. Quello che volevamo era un pianista, un sessionman: alla fine ci ritrovammo con un cantante fantastico e, contemporaneamente, anche chitarrista ritmico/pianista. Naturalmente lo prendemmo con noi, avevamo fatto bingo! Portò con sé il cuore e l'anima dal sud degli States, e trasformò 'Sweetheart Of The Rodeo' nel manifesto musicale che è, una pietra miliare. Senza di lui, senza la sua motivazione, il suo carisma, tutto sarebbe stato diverso.
Ricordo il nostro concerto alla 'Grand Ole Opry' a Nashville, il tempio consacrato della country music. Se avevi accesso al Ryman Auditorium era fatta, voleva dire che sfilavi tra le leggende, eri ammesso nel pantheon dei padri fondatori. Se reggevi la tensione di quel palco, l'intera scena era nelle tue mani. Noi eravamo i primi 'capelloni' in assoluto a essere inclusi in quella folta platea di conservatori, di puristi incravattati, e creammo un autentico scompiglio. Ci guardarono male dall'inizio alla fine, ridevano di noi, fischiarono forte già prima che suonassimo anche una sola nota! Dovevi vederli mentre ci sfottevano, sembrava una scena rubata a 'Easy Rider'... L'intero show durava circa un'ora e trasmetteva via radio per tutta l'America. La nostra esibizione fu un fiasco. Il fatto è che uno spettacolo istituzionale come quello, che tiene botta gloriosamente fin dagli anni Venti, beh, ha delle regole ferree, chiare, poche leggi da rispettare.
Uno: i vari artisti restano in scena per la durata di due canzoni e niente dediche.
Due: non suoni pezzi tuoi, ma soltanto riprese di brani della grande tradizione.
Beh, fu fantastico mandare tutto a puttane in risposta a quella pessima accoglienza, a quella massa di bifolchi e bigotti! E il tutto accadde proprio grazie alla faccia tosta di Gram. Arrivati al secondo brano, il presentatore del 'Grand Ole Opry' annunciò che avremmo suonato 'Life In Prison' di Merle Haggard. Ma noi, per tutta risposta, come se nulla fosse, attaccammo invece 'Hickory Wind', un pezzo che aveva scritto Gram e che dedicò in diretta alla nonna. Dovevate vedere le loro facce! I Byrds furono banditi a vita, nonostante stessero preparando un album che di lì a poco avrebbe cambiato la storia del genere, contaminandolo con il folk e il rock... che tempi!
Ricordo come fosse ieri il funerale di Clarence White, uno dei più dotati, eclettici, sorprendenti chitarristi della storia. Era stato membro dei Byrds e di altre formazioni minori nel settore country/folk: morì tragicamente nell'estate del 1973, giusto qualche mese prima di Gram, travolto da un automobilista ubriaco dopo un concerto. Ricordo la cerimonia funebre, quella chiesa bianca fuori città, sotto un sole cocente. Tutti noi musicisti eravamo lì, per dare il nostro ultimo saluto. Naturalmente c'era anche Gram, ed era più o meno su di giri, come al solito.
Lui e Phil Kaufman, il suo road manager, restarono polemicamente fuori per tutta la durata della funziona religiosa. Evidentemente si sentivano estranei, fuori posto, allergici a quel tipo di celebrazioni 'canoniche'. Poi però, quando arrivò il momento più sentito e solenne, quello di interrare la bara, tutti in cerchio e in silenzio, accadde. Gram intonò a sorpresa 'Farther Along' e pian piano altri tra noi lo seguirono, accompagnandolo e armonizzando intorno alla sua voce d'angelo. Quel suono era Clarence, ma era anche Gram. Non c'era altro da aggiungere.
Non potrò mai dimenticare i mille pomeriggi trascorsi nella casetta in comune a Laurel Canyon, sulle colline di Hollywood, a comporre nuove canzoni per i Flying Burrito Brothers, a fumare erba, a divertirci con le ragazze subito prima del tramonto, con la California e il music business ai nostri piedi.
Eravamo belli, avevamo talento, ci sentivamo invincibili. Ed erano tempi, quelli sì che erano tempi inebrianti, magici. Era il 1969 e facemmo la prima tournée alloggiando a bordo di un treno: uno scompartimento soltanto per noi e via, da una tappa all'altra giocando a poker, strimpellando la sei corde, ubriachi di Southern Comfort o barcollanti per colpa di qualche fungo allucinogeno messicano! Avreste dovuto vederci: fu un'odissea davvero felliniana, con la gente che ci guardava disorientata, neanche fossimo alieni sbarcati da 'HippieLand', con le nostre divise variopinte cucite personalmente da 'Nudie', il sarto di Elvis Presley. Quella di Gram era bianca, ornata di foglie di marijuana, abbellita da pastiglie di acido, donne nude e da una grande croce da gangster sulla schiena. Purtroppo ricordo anche quando decisi di farla finita di assecondarlo nelle sue stranezze, nei suoi ritardi cronici e, soprattutto, nella sua dipendenza da sostanze illegali assortite. Lo stavano distruggendo, e fu così che dovetti buttarlo fuori dai Flying Burrito Borthers, la band che avevamo fondato insieme. Poco male: non appena si riprese, Gram tornò tra le braccia di Keith Richards".
(Chris Hillman, membro fondatore dei Byrds e di tante altre band)
"Una grande amicizia istantanea. Fu come un fratello minore per me, quello che non avevo mai avuto. Eravamo davvero inseparabili, insieme potevamo fare scintille. Io e Gram avevamo un mondo intero da condividere, anzi due: la musica e gli stupefacenti. Lo incontrai per la prima volta in maggio, a Londra. Lui era in tournée coi Byrds (avevano appena suonato al Blaises Club), mentre noi stavamo terminando quello che poi sarebbe diventato 'Beggar's Banquet'.
Passammo una serata insieme, rompemmo il ghiaccio e non fu difficile. Un paio di mesi dopo tornò a Londra, si esibì con la band alla Royal Albert Hall. Secondo i piani promozionali, avrebbero poi dovuto volare in Sud Africa, suonare a Johannesburg e a Città del Capo. Ma evidentemente Gram era già stufo marcio di quella situazione, la band gli andava stretta e aveva voglia di restare con me.
Fu allora che gli consigliai, a mo' di scusa e alibi ufficiale, di raccontare al gruppo e alla stampa che lasciava per protesta, perché laggiù, in Sudafrica, c'era ancora l'apartheid e lui non si sarebbe esibito per un pubblico di bianchi razzisti. Naturalmente era una balla, eppure lui la recitò così candidamente! Rimanemmo insieme per tutta quell'estate, tra Londra e Los Angeles.
Potevamo restare notti intere a suonare e raccontarci dei nostri eroi musicali: fu lui a introdurmi a George Jones, Hank Williams, Buck Owens, Merle Haggard. Aveva visto Elvis Presley dal vivo nel '56 e l'avvenimento gli aveva cambiato la vita. Senza il suo benefico influsso, pezzi come 'Honky Tonk Women', 'Let It Bleed', non sarebbero stati gli stessi, per non parlare di 'Sticky Fingers' ed 'Exile On Main Street'... Mi era piaciuto molto il primo album della sua nuova band, i Flying Burrito Brothers: furono loro i primi a reinventare il country-rock, proprio come Dylan a suo tempo fece con il folk e gli strumenti elettrici. Ricordo che li invitammo a suonare ad Altamont, a dicembre del 1969, per quello che avrebbe dovuto essere il 'festival di Woodstock degli Stones' e invece finì in tragedia, con quel ragazzo nero accoltellato, gli Hell's Angels al servizio d'ordine e tutto il resto. Quel giorno si esibirono anche i Burritos di Gram, e fu l'unico raggio di sole in una giornata veramente nera. Una volta interrotta la nostra esibizione, in mezzo a quell'aria così tesa, ricordo che lasciammo il posto in elicottero. Gram sedeva accanto a me, come sempre. Come ho già detto, quando eravamo insieme eravamo inseparabili, una forza della natura.
Ci rivedemmo un paio d'anni dopo, nella primavera/estate del 1971 in Costa Azzurra, nella mia villa, Nellcote. Lui nel frattempo era stato cacciato dai Burritos, perché non era più affidabile, e sognava una carriera da solista, progetto che poi, anche se per breve tempo, riuscì a realizzare. Quanto a noi, si componeva nuovo materiale, un fiume di canzoni che poi sarebbero entrate nel doppio 'Exile On Main Street'. Nella mia villa c'era un mucchio di posto: Gram venne a trovarmi con la sua futura moglie, una biondina di nome Gretchen. Rimasero per un po', prima di essere educatamente cacciati da Mick in persona, che a quel punto non tollerava più perdite di tempo, visto che il nostro lavoro stava andando piuttosto a rilento e non si riusciva a concludere granché. Con quel ragazzo passai ore felici nel sud della Francia, non facevamo altro che suonare, cantare, stare su di giri, bivaccare in quel lusso da foresta esotica, a due passi dal mare. Ma non puoi, non puoi farlo per sempre, non puoi perderti di continuo. Devi ritrovare la strada di casa, farlo almeno per il tuo pubblico, che ti ha permesso di arrivare dove sei. A Gram questo importava relativamente: aveva sempre avuto quasi tutto quello che voleva. Era stato persino ad Harvard, per un semestre, a studiare Teologia, prima di incontrare nuovi musicisti ed incidere 'Safe At Home' con la International Submarine Band.
Il fatto è che a Gram piaceva perdere i sensi. Aveva un passato molto difficile alle spalle, fatto di abusi e suicidi, materiale umano degno di un pezzo teatrale di Tennesse Williams! I suoi nonni materni erano una specie di famiglia reale: John A. Snively era un importante proprietario terriero, con possedimenti sparsi per la Florida e la Georgia, titolare di diverse compagnie nel campo degli agrumi. Gram crebbe in una di queste ville del Sud, circondato dall'affetto della madre e dai soldi di famiglia, che scorrevano a fiumi, e che avrebbero continuato a sostenerlo finanziariamente fino al resto dei suoi giorni. Anche per questo motivo era così fatalista e impavido rispetto al futuro: viveva alla giornata, sapendo di poterselo permettere.
Bastava che chiedesse e aveva i vestiti migliori, se metteva su una band e aveva voglia di esibirsi, ecco che il nonno gli comprava un intero locale (!) per suonare in pubblico coi compagni di liceo. Eppure tutti quegli agi, il fatto di poter girare in limousine potendo contare su un conto fiduciario, beh, ecco, tutto quella roba non riusciva comunque a dare a Gram autentica felicità e soddisfazione.
C'era sempre qualcosa che lo rendeva inquieto, imprevedibile, irrequieto. Io sentivo che c'era un non detto dietro a certi suoi silenzi, e non appena approfondimmo la nostra amicizia, lui lo svelò. Aveva perduto il padre a dodici anni: il maggiore 'Coon Dog' Connor era un pilota d'aviazione, un asso del cielo decorato con la medaglia durante la Seconda Guerra Mondiale. Fu uno dei tanti a crollare per 'esaurimento nervoso da dopo-guerra'. Era alcolista e si sparò in testa. Anche la madre, Avis, era un'alcolista depressa: non trovò di meglio che risposarsi con un tizio di New Orleans, tale Robert Parsons, alcolista anche lui, e poi morire di cirrosi quando Gram aveva 18 anni.
Con il patrigno aveva recuperato un qualche rapporto, verso la fine: più tardi seppi che avrebbe voluto seppellire Gram a New Orleans, se solo non fosse intervenuto quel pazzo del suo road manager, Phil Kaufman, con quell'impresa del furto della bara e la fuga nel deserto".
(Keith Richards)
"Il mio assistito, Gram Parsons, fu dichiarato legalmente morto poco dopo mezzogiorno.
Era il 19 settembre del 1973 e a portarselo via fu un'overdose di cocaina, morfina e tequila. Aveva solo 26 anni e in quel momento si trovava al Motel Joshua Tree Inn, stanza numero 8, un paio d'ore ad ovest di Los Angeles. Quando si sentiva su e aveva voglia di festeggiare, Gram sceglieva sempre quella porzione di deserto, per sballarsi per un po' e respirare magica atmosfera, in simbiosi con la natura, il cielo stellato notturno, le grandi rocce e tutto il resto...
L'ultima volta che ci andò, fu per celebrare la fine delle registrazioni del suo secondo album da solista, 'Grevious Angel', che sarebbe poi uscito postumo, per l'etichetta Reprise.
Di lì a qualche settimana, sarebbe cominciato il tour promozionale: i musicisti scalpitavano, il repertorio funzionava alla grande. Tutti entusiasti, non vedevano l'ora di partire. Lui, poi, aveva addirittura smesso con la droga, si era ripulito totalmente da qualche mese, sapeva che quello era il momento del riscatto, e quel treno proprio non voleva perderlo, credetemi.
Quell'ultima notte si trovava in compagnia di Michael Martin, suo assistente personale, di Dale, fidanzata di Michael, e Margaret, una vecchia compagna di liceo divenuta proprio in quel periodo qualcosa di più di una semplice confidente. Nessuno di loro, però, riuscì a fare nulla per evitarlo. Erano lì per fare baldoria e quando quel dannato figlio di puttana si mette in testa una cosa, beh, diventa quasi impossibile fermarlo, diventa una scheggia impazzita, una pallina da flipper che corre a velocità supersonica. Dopo una notte di follie e bagordi il suo cuore si fermò. Le sostanze che aveva assunto avrebbero steso tossici ben più resistenti: figuriamoci lui, che si era appena ripulito! La notizia trapelò e io per primo corsi al motel per far sparire la droga e riportare a L.A le due ragazze. Non volevo avere guai con loro, anche se comunque avevamo fatto in modo che sul certificato di morte venisse scritto 'infarto' e non 'overdose'.
Destino volle che il patrigno di Gram, un tizio di New Orleans con cui di recente aveva riallacciato i rapporti, avesse intenzione di organizzare il funerale e la sepoltura in Louisiana. Il suo vero, bieco interesse era appropriarsi dell'eredità: una somma enorme che, secondo l'antico codice napoleonico di New Orleans, sarebbe spettata al parente maschio più vicino al defunto, a patto che quest'ultimo venisse sepolto in Louisiana, così da diventarne cittadino ufficiale. Questo Gram non l'avrebbe mai permesso. E io dovevo muovermi, fare qualcosa. Non potevo venire meno al nostro vecchio accordo.
Sì, è così: io e lui avevamo fatto un patto solenne, qualche mese prima che morisse.
Ci trovavamo insieme, ubriachi di birra, seduti in un bar non lontano da una chiesa.
Era appena morto quel chitarrista, Clarence White, in maniera così tragica e assurda.
Beh, a noi due le cerimonie funebri ufficiali non sono mai piaciute, così decidemmo di restarne fuori: il prete là dentro scandiva le sue stronzate, in mezzo a metà della comunità musicale di Los Angeles, e noi da fuori commemoravamo il vecchio Clarence a modo nostro, sicuri che se avesse potuto scegliere, non avrebbe voluto una cerimonia asettica e formale.
Ecco, proprio in quella situazione, quel giorno, Gram mi disse: "Phil, qualunque cosa accada, promettimi che non mi lascerai fare questa fine. Io non voglio tutto questo quando sarà arrivato il mio momento". Gli risposi che no, non lo volevo neanch'io, e così ci promettemmo l'un l'altro che chiunque dei due fosse sopravvissuto avrebbe fatto in modo che il corpo dell'altro fosse cremato, e le ceneri sparse nel deserto di Joshua Tree, il luogo che entrambi amavamo.
Naturalmente non mi sarei mai aspettato che quel giorno arrivasse così presto.
Però andò così, e non potevo non tener fede a quella promessa.
Ero il suo road manager, cazzo, uno dei suoi più cari amici e confidenti: la sua storia d'amore con Gretchen era finita e lui viveva a casa mia nell'ultimo periodo, si fidava di me, e io di lui.
Decisi di farlo: all'aeroporto nazionale di Los Angeles, insieme a Michael Martin, rubai la bara di Gram Parsons e la portai nel deserto. E aggiungo che non fu affatto difficile.
Bastò prendere in prestito dalla ragazza di Michael una vecchia e scassata auto funebre senza targa e con diversi finestrini rotti (i due la utilizzavano a mo' di furgone, o per andare in campeggio), caricarla di birra, vodka e Jack Daniel's, andare lì e convincere chi di dovere che c'era stato un cambio di programma, che la bara avrebbe volato privatamente, su un volo charter.
Arrivammo nell'hangar della Continental Airlines senza licenza o documenti falsificati, vestiti con cappello e stivali da cowboy: io portavo la giacca jeans con il logo Sin City cucito sulla schiena e non so proprio come il tipo dell'aeroporto riuscì a credere alle nostre buone intenzioni! Perfino un poliziotto ci aiutò a caricare la bara in macchina, senza battere ciglio. Da non credere.
Non esisteva alcuna legge che punisse il furto di un cadavere, nessuno si era mai, mai sognato di imbarcarsi in un'assurdità del genere! Arrivammo al Parco Nazionale di Joshua Tree al tramonto. Fermammo l'auto dalle parti di Cap Rock perché ormai eravamo troppo stanchi, fatti e ubriachi per proseguire oltre. E poi avevamo individuato uno spiazzo che ci sembrava perfetto.
Il casino arrivò subito dopo, quando fu il momento di bruciare il corpo.
Ecco, vedete, non è che io avessi proprio dimestichezza in materia: non sapevo un bel niente di procedure di cremazione! Ma andai avanti lo stesso. Aprimmo la bara, gli versammo sopra cinque galloni di benzina, poi ci gettammo sopra un fiammifero e... bang! Una fiammata altissima si alzò subito verso il cielo, il corpo di Gram ridotto a una palla di fuoco che bruciava e bruciava.
Non era così che doveva andare. Stavamo incasinando tutto con la nostra inesperienza, senza contare che in lontananza vedevamo lampeggiare alcune sirene. Si trattava della guardia forestale, avvertita da qualche 'allarme incendio' all'interno del parco. Io e il mio compare rientrammo subito in macchina e ce la svignammo. Nessuno si accorse del furto finché l'aereo su cui avrebbe dovuto viaggiare la salma non atterrò a New Orleans. La mattina successiva lessi sui giornali della nostra assurda avventura, di quel 'rogo rituale' avvenuto nel bel mezzo del deserto.
Sapevo di essere ricercato dalla polizia perché qualcuno nella famiglia di Gram aveva sporto denuncia contro di me. Così mi presentai spontaneamente alla Corte Municipale di West L.A, in modo da venire giudicato. Ironia della sorte, il processo si tenne il giorno del suo compleanno, il 5 novembre. Ci dichiararono colpevoli per il furto della bara (visto che non c'erano leggi che punissero il furto di cadavere) e ci condannarono a pagare 300 dollari di multa, più altri 700 per ripagare interamente il feretro andato distrutto. Nemmeno un giorno di galera, niente di niente.
Per quel che mi riguarda ero soddisfatto: in un modo o nell'altro avevo tenuto fede alla nostra promessa. La ballata di Gram Parsons ora apparteneva alla terra e al cielo".
(Phil Kaufman, road manager)