Muovendosi in bilico tra struttura e improvvisazione, gli A Short Apnea (Paolo Cantù e Xabier Iriondo alle chitarre e ai sampler, Fabio Magistrali alla voce, agli oggetti e ai campionatori) esordirono nel 1999 con un già interessante disco omonimo, ma fu soltanto un anno dopo che riuscirono a scolpire il loro nome negli annali della storia del rock italiano, complice "Illu Ogod Ellat Rhagedia (Ustrainhustri)”, disco che abbatte le barriere tra i generi, generando un flusso di coscienza suddiviso in tre lunghi pannelli sonori.
Ridotti al minimo gli interventi vocali, adesso la loro musica è libera di spaziare tra la sperimentazione wave-kraut-rock dei This Heat, il post-rock astratto dei Gastr Del Sol e il collagismo degli You Fantastic!, il tutto condito con inserti elettroacustici e lavorato con lucida consapevolezza, come ben documenta il primo brano.
Quanto al titolo del disco e ai lunghissimi e curiosi titoli dei tre brani, ecco quanto dichiarò all’epoca Fabio Magistrali sulle pagine del Mucchio Selvaggio: “L’idea non è stata nostra: abbiamo sollecitato un amico, Luca Vitali, che ha proposto un cut-up di nostre chiacchierate riguardanti l’album a cui ha applicato questa frammentazione sillabica, perfettamente analoga a quello che abbiamo fatto con gli strumenti. Anche la nostra musica va decodificata: trovate le chiavi di lettura, può diventare spontanea e fruibile come un brano rock classico”.
La “frammentazione sillabica” accompagna il farsi della stessa musica degli A Short Apnea, con gli strumenti a organizzare il materiale sonoro intorno a blocchi minimi di senso, che solo l’ascolto può rivelare come tessere di un mosaico più ampio. Se il secondo brano è quello che possiede una carica rock più pronunciata, alternando sibilline panoramiche free-form a sprazzi di rock “matematico” che risale fino alle pensose dissertazioni degli Slint, l’ultimo inizia, invece, in piena fibrillazione elettroacustica, procedendo, quindi, attraverso ipotesi di ballate salmodianti, gorghi di corde risonanti, illuminazioni melodiche in circolo, colluttazioni e destrutturazioni, un aggiornamento del sentimental journey dei Pere Ubu e, per finire, un vortice radiante che dona all’intera operazione un’aurea quasi sacrale.
“Illu Ogod Ellat Rhagedia (Ustrainhustri)” è tutt’altro che un disco facile. Richiede pazienza e dedizione, ma ad ogni ascolto rivela nuovi indizi di un “oltre sonico” che è ancora tutto da indagare.
09/06/2019