I Low sono uno dei gruppi della scena rock attuale che più possono fregiarsi del titolo di "classici". Ormai la loro capacità di suscitare nell'ascoltatore un'attenzione unica si rinnova, pur nei cambiamenti, di album in album con una continuità che ha poche eguali. Dopo aver abbracciato melodie più dolci e strutture dei brani più prossime alla forma canzone nel precedente "Things we lost in fire", con la loro ultima fatica "Trust" il trio del Minnesota (Mimi Parker, Alan Sparhawk, Zak Sally) raggiunge forse la perfezione formale, nell'equilibrio miracoloso degli ingredienti che compongono la loro musica. Tensione drammatica, austerità religiosa, cupe catarsi emozionali: il tutto è raggiunto in un disco che, se fa tesoro della splendida capacità melodica del disco precedente, fa leva su quegli elementi tramite ballate ora scheletriche, ora eteree, rallentate fino quasi alla stasi assoluta, con un'abilità nel dosare strumenti e voci che ha del prodigioso e che fa vivere i brani con una partecipazione che testimonia la totale mancanza di artificiosità della loro arte.
La produzione di Tchad Blake, dopo la lunga collaborazione con Steve Albini, ha dato un tocco più "vintage" al suono dei Low, aumentando, e non è un paradosso, il calore a queste cupe e scarne ballate. Le perle dell'album sono tante, a cominciare dal primo brano "That’s how sing your amazing Grace", dove il battito solenne e funereo della batteria fa da traino a un canto suadente, accompagnato da una chitarra liquida e sferzante allo stesso tempo, il singolo "Canada", il brano più rock del disco, una ballata dal ritmo marziale e dal suono ereditato dai Velvet Underground, "Candy girl", una canzone cantata sottovoce con dei colpi lenti che sembrano abbattersi sulla batteria come potrebbe fare la morte che bussa al portone di un castello gotico, pochi accordi funerei di chitarra e rintocchi di campana a dare solennità a questo requiem folk. Già questi tre brani iniziali basterebbero a delineare la forza evocativa di questo disco, ma sarebbe un delitto fermarsi qui, poiché altre gemme ci riserva l'album, da "I am the lamb" un’altra ballata spettrale e scarna, scandita lentamente e costruita in maniera magistrale, tra chiaroscuri vocali e crescendo di pathos e di intensità strumentale, il folk delicato e sereno di "Snowstorm", il carillon di pianoforte e la voce soave e tenue di Mimi Parker che impreziosiscono "Point of desgust", la finale "Shots and ladders", tra voci in perfetto equilibrio, un'atmosfera onirica che, nel crescendo tra tastiere e voci che si fondono, realizza un'ascesi spirituale da lasciare attoniti e senza fiato.
"Fiducia" è una bella parola, piena di speranza e responsabilità; i Low ce la donano per accompagnare una musica fuori dal tempo, che merita e ottiene rispetto, e che ha la innata capacità di ottenere il silenzio da chi la ascolta, perché quando si ha la fortuna di essere partecipi delle emozioni che emana non c'è spazio per altro, nel cuore e nell'anima.
03/11/2006