Al Jourgensen, ovvero l'anima e la mente del progetto Ministry fin dal lontano 1981, è innegabilmente un'artista tra i più influenti e originali degli ultimi anni. Negli anni Ottanta, prima da solo, poi affiancato stabilmente dall'ottimo Paul Barker, creò di fatto un nuovo genere musicale riuscendo a fondere i ritmi e i campionamenti tipici della musica industriale con il metal, inteso come metal in tutte le sue accezioni più violente ed estreme (speed, trash, death, ecc…). La loro parabola culminò nel 1992 con l'album "Psalm 69", con cui arrivò anche il grande successo commerciale.
Negli ultimi dieci anni la band ha conosciuto però un pauroso declino: due album molto deludenti ("Filth Pig" e "Dark Side of The Spoon"), che tradivano una generale crisi di ispirazione, di idee e soprattutto l'incapacità di tenere il passo di tutti quei nuovi gruppi che traevano gran parte del loro sound proprio dai Ministry (come i Nine Inch Nails, e purtroppo come anche molti degli insulsi gruppi "nu-metal"). Jourgensen sembrava distratto dai suoi mille progetti paralleli, sembrava aver perso tutta quella carica bestiale che riversata su disco aveva dato come risultato capolavori come "The Land of Rape and Honey" o "The Mind Is a Terribile Thing to Taste".
Forse se n'è reso conto anche lui, sta di fatto che ora, anno 2003, il buon mr.Jourgensen ha deciso di tornare alla carica: letteralmente, perché questo "Animositisomina" (titolo francamente improponibile), è in tutta la sua durata nient'altro che una sequela di brani ognuno più viscerale, aggressivo e brutale del precedente. Cosa molto confortante, perché almeno indica che Jourgensen e soci hanno ancora voglia di urlare in faccia al mondo tutta la loro rabbia. Ed è rabbia, semplice e senza troppi giri di parole, quella che erutta dall'opening-track "Animosity" e dalla successiva "Unsung", quest'ultima particolarmente riuscita nel suo mix di eccessi slayeriani ed echi dei Tool. Ancora i Tool (quelli di "Opiate" soprattutto) vengono richiamati alla mente dall'oscurità minacciosa di "Piss" e "Lockbox".
In ogni secondo di ogni brano il sound è sempre saturo, assordante, esplosivo: ogni pezzo si snoda su tre semplici componenti: ritmo martellante, voce urlata, filtrata e manipolata (questo è uno dei loro marchi di fabbrica) e una grandinata di deflagrazioni chitarristiche. Ormai di industrial c'è rimasto poco o niente: i Ministry sono a tutti gli effetti una metal-band, e in quest'ambito Jourgensen si dimostra ancora capace di sfornare capolavori come "Broken" e "Impossible", due brani epici e catastrofici, che svettano su tutto il resto.
D'altro canto, però, risulta impietosamente evidente come il nostro (fatta eccezione forse per la sola, lunghissima "Leper") sia ormai sempre cronicamente a corto di idee originali. Ma forse è diventato anche inutile, se non ingiusto a questo punto attendersi il contrario. Perché Al Jourgensen la sua rivoluzione l'ha già fatta, ed è stata una delle più importanti nel panorama rock americano. Non ci sarà più l'originalità ma la classe, quella si, è ancora intatta e al giorno d'oggi, fra i vari Linkin Park e Limp Bizkit, la classe basta e avanza a questo signore di 43 anni per fare un metal che suona molto più "nu" di tanti suoi giovani imitatori.
29/10/2006
1 Animosity
2 Unsung
3 Piss
4 Lockbox
5 Broken
6 The Light Pours Out Of Me
7 Shove
8 Impossible
9 Stolen
10 Leper