Se a ciò aggiungiamo la benedizione di Morrissey, che li ha voluti come gruppo supporter del suo concerto alla prestigiosa Royal Albert Hall di Londra, la produzione di Tony Hoffer (Beck, Air, Supergrass) e la grancassa garantita dalle "solite" riviste britanniche, il gioco è fatto, e questo "So Much For The City" è già pronto per schiantare le chart.
Peccato, però, che dietro le buone intenzioni (il recupero della freschezza folk-pop dei Byrds, armonie vocali alla "Pet Sounds", melodie d'ascendenza beatlesiana, umori country alla CSN&Y e persino echi del primo Dylan elettrico) si celi una banalità compositiva imbarazzante, che non riesce ad andare oltre un compitino svolto in modo pedante e calligrafico. Ne è la testimonianza più irritante il singolo-tormentone "Big Sur", ruffiano e stucchevole come pochi. E l'hit furbetto da estate al mare "Santa Cruz" non è da meno.
Ma in tutto il disco è difficile trovare qualche volo pindarico. Gli arrangiamenti sono indubbiamente corposi e curati: cori, armoniche, banjo e percussioni si mescolano alla voce appassionata di Conor Deasy, regalando qualche momento gradevole: il country-surf di "Say It Ain't So", la briosa "One Horse Town" (che però fa il verso spudoratamente alla "A Horse With No Name" degli America), la ballata di "Deckchairs And Cigarettes" e le atmosfere quasi western di "Hollywood kids", dove la chitarra slide accompagna un'armonica folk e un hammond preso in prestito da Brian Wilson, per poi lasciare spazio a distorsioni appena più audaci.
Ma percorrendo questo ponte transatlantico che collega idealmente britpop e West Coast, ci si rende conto che l'amarcord di "So Much For The City", con i suoi nostalgici umori vintage, non è altro che un'abile manipolazione genetico-sonora compiuta ai piani alti della major di turno. Con buona pace di questi cinque simpatici ragazzotti irlandesi che di nome fanno Thrills in omaggio a "Thriller" di Michael Jackson.
(30/10/2006)