I Fiery Furnaces sono stati fondati nel 2002 dai fratelli Matthew (tastiere, organo e chitarre) e Eleanor Friedberger (voce e chitarre), di Chicago. Con il loro Lp d'esordio "Gallowsbird Bark" (Rough Trade, 2003) hanno provato a coniugare - riuscendoci - il blues bislacco e caotico di Captain Beefheart di "Shiny Beast" con quello vitale e viscerale dei Rolling Stones di "Let It Bleed", passando per la grinta intellettuale di Patti Smith di "Radio Ethiopia" e i crescendo psichedelici dei Jefferson Airplane di "Volunteers". Ora ci riprovano, con il nuovo "Blueberry Boat", ampliando le strutture e, contemporaneamente, passandole al setaccio del rock progressivo. Non di vero e proprio cambio di rotta si tratta, e nemmeno (o non solo) di una significativa evoluzione del loro personale percorso, ma di un'articolazione, semmai, una precisazione profonda nelle tessiture melodiche e armoniche del loro fantasy-rock.
E forse è anche di ambizione che bisogna parlare, come dimostrano le cinque mini-suite presenti nell'album, ad affiancare brani di più corto respiro. L'inziale "Quay Cur", la più complessa del lotto, è ammirevole per la sua multiforme miscela di garage, surf-rock sovreccitato, battiti cibernetici e rumori industriali del lungo incipit, modulazioni improvvise di dinamica e le melodie vocali modellate da Eleanor. Su tutto svetta il piano, a cui - nel finale - è affidato il compito di condurre una concertazione corale e risolutiva. La successiva "Straight Street" propone un acid-garage sfasato e sconnesso, poi trasfigurato da un piano tamburellante e da una chitarra a-là Velvet Underground, e volto infine a un dialogo di strofe e refrain dell'ugola vibrante di Eleanor, con intermezzi di orchestrine clownesche e variazioni fantasiose.
"Chris Michaels", invece, parte con un sapiente sprint rock'n'roll di fattura call-and-response (con un'ottima, possente parte di batteria), tra le impennate della linea vocale e le scivolate delle chitarre ruggenti, per poi darsi a distorsioni psichedeliche e infine chiudersi con una sorta di power-ballad Lennon-iana.
Più avanti vengono "Mason City" e "Chief Inspector Blacnheflower". La prima è piece piano-driven con altri echi Jefferson Airplane, intermezzi spoken e jam chitarristiche da far invidia allo stesso Jorma Kaukonen, mentre la seconda è un collage electro che nel mezzo sfoggia un'altra magnifica ballata pianistica, su cui le profonde evoluzioni vocali di Eleanor hanno modo di esibirsi con ancor più tensione e partecipazione emotiva.
Ma i pezzi brevi, quelli che più si riallacciano al precedente lavoro, non sono da meno; anzi, si può dire che è proprio in questi casi che il duo trova le intuizioni melodiche più felici. Si prenda il techno-folk di "Spaniolated", con quel suo incedere dissacrante e dissonante, tra solfeggi sgraziati di organo e chitarre che richiamano quasi l'irriverenza psichedelica dei Godz, o il garage-rock rilassato in andamento vaudeville di Wings-iana memoria di "Birdie Brain", efficace nei suoi effetti luminescenti del synth e nelle volute del piano, o ancora il baldanzoso gospel tip-tap di "My Dog Was Lost". "Turning Round" e "1917" sono due corali per unisono di organo, tastiere e voce dalla pregnante atmosfera barocca, in bilico tra il brivido electro e la sortita sperimentale e cacofonica, mentre la chiusa ("Wolf Notes") è affidata a un nuovo tour de force dissonante - come se i Pere Ubu più scanzonati si fossero dati al techno-pop - funestato da lamentazioni della chitarra slide e svolazzi impertinenti delle tastiere.
Trattasi, con le dovute (e sacrosante) approssimazioni per eccesso, di uno scalmanato "Twin Infinitives" del garage-indie-pop. Attento alle concatenazioni progressive, quasi Canterbury-iane nella loro frizzante visionarietà, governato da una regia che usa pianoforte e tastiere per esasperare i toni, impartire il movimento, sorreggere le impalcature, deformare in senso caricaturale, è un trattato imprevedibile e fuggevole di sub-generi mischiati e subito riesposti con ricchezza strumentale e voluttà inventiva, spesso e volentieri incredibile nelle sue eruzioni di scatti fantastici e melodici, melliflui, ironici. Sprizza di mirabolante divertimento e di profonda tenerezza. I fratelli Friedberger, co-autori di musiche e testi, sono supportati - anche nelle performance live - dalla collaborazione degli amici Toshi Yano (basso e synth) e Andy Knowles (batteria), entrambi musicisti emergenti.
13/12/2006