Seconda prova solista per Jolie Holland, dopo "Catalpa" (Anti, 2003), raccolta di demo casalinghi, e l'ancor precedente esperienza di gruppo con le canadesi Bee Good Tanyas. "Escondida" (Anti, 2004), anche questa volta dal titolo spagnoleggiante, può comunque a ragione essere considerata la prima prova della Holland in un vero e proprio studio di registrazione; una prova che ha prodotto risultati davvero sorprendenti.
Perché in effetti il lavoro della giovane di origine texana, ora stabilitasi in California, è di una bellezza disarmante. Disarmante nella maniera di proporre un repertorio che va a pescare dritto dritto nelle radici della musica popolare nordamericana, nel blues, nel country, nel folk, nel gospel e nel jazz, e di farlo sfruttando capacità vocali che le permettono di adattarsi al meglio al registro di ogni canzone.
Il giornalismo musicale ha già avuto modo, sembra, di inscatolare le canzoni di Jolie Holland, così come quelle di un altro esploratore contemporaneo delle radici quale Devendra Banhart , nel genere definito " pre-war folk ". E paragoni con le Cocorosie , ma anche con le due mitiche e storiche signore del jazz e del blues, Billie Holiday e Bessie Smith, si sono sprecati.
Detto che, al limite, è con la magnetica voce della prima che si può pensare di fare un raffronto, sembra giusto affermare che questo disco ha un notevole valore in sé, al di là dei riferimenti e delle classificazioni forzate.
Ed è il valore innanzitutto di un'interpretazione eccellente, dal punto di vista vocale e strumentale (la Holland si cimenta peraltro con una quantità di strumenti differenti, dalla chitarra, rigorosamente acustica, al violino, dal piano all'ukulele), nonché di una scrittura musicale che, se in diversi casi asseconda le tradizioni, come nello splendido gospel di "Old Fashioned Morphine" (che è curioso pensare trasposto in una chiesa pentecostale, al grido di "give me some old fashioned morphine, it's good enough for me…"), nello swing di "Tiny Idyl / Lil Missy", nel blues di Poor Girl's Blues", nella ballata country-folk di "Goodbye California" (che ricorda la "Me and Bobby McGee" interpretata da decine di artisti, ma che per il sottoscritto rimane legata a Janis Joplin), o nel canto accompagnato solamente da una batteria spazzolata di "Mad Tom Of Bedlam" (un traditional, l'unica canzone non originale del disco insieme all'altro traditional della guerra civile "Faded Coat Of Blue"), in altri evidenzia un'ottima capacità di scostarsi dal cliché e dare un'impronta maggiormente personale alla propria arte, creando gioielli come la jazzata "Sascha", impreziosita da una tromba sorniona che immalinconisce il pezzo al punto giusto, il blues postmoderno di "Black Stars", in cui la voce ricorda semmai quella di Chan Marshall-Cat Power , o "Amen". Scavando così l'immaginario baratro che la separa dall'ondata di nuove cantanti devote al jazz, tutte, a mio parere, di livello assai inferiore rispetto alla Holland.
Il tutto condito, last ma non affatto least , da testi magnetici che uniscono lirismo, humor nero e surrealismo naturista, in cui la luna, le stelle e gli spazi aperti fungono da vero specchio dell'anima per Jolie Holland.
Dove alla luce o al buio si preferisce il crepuscolo. Dove ai colori vivaci o al nero si preferisce il blu…
18/12/2004