Le sonorità del passato, che siano il pop plastico e sintetico degli anni 80, o il rock krauto o ancora il folk psichedelico dei 60, costituiscono ormai la materia prima sulla quale viene imbastita la stragrande maggioranza dei lavori in ambito pop-rock degli ultimi anni, nei quali gli artisti mangiano, digeriscono e rivomitano le influenze più disparate, alcuni aggiungendovi un più marcato tocco personale e acquistando una maggiore originalità, altri imitando le vecchie glorie in maniera più o meno pedissequa.
Grande importanza in questo clima di revival ha sempre avuto la tradizione cantautorale americana, in particolare quella marcata 60 (da Bob Dylan a Neil Young) e si perde il conto dei dischi nati sulla scia dei mostri sacri del genere: forse proprio per questo inflazionamento, perché si è già attinto a piene mani da quel tipo di approccio e di sonorità, le nuovissime leve che si cimentano col cantautorato classico hanno spostato la loro attenzione su altri percorsi musicali, compiendo un passo avanti (o meglio, indietro).
Fonte di ispirazione è diventata quella tradizione folk-country-blues primigenia, che affonda le proprie radici negli inizi del secolo e che ci ha lasciato un patrimonio inestimabile di reale musica "dell'anima", di nome e di fatto.
Che ciò sia solo l'ultimo hype o il frutto di una reale e appassionata riscoperta di certe sonorità poco importa, se i dischi che ne vengono fuori sono al livello di quelli di Devendra Banhart o di queste CocoRosie. Due sorelline dal grande talento (e pure belle, a quanto pare), Sierra e Bianca Casady, registrano questo disco nel loro appartamento, durante un periodo di convivenza a Parigi e ne esce fuori una piccola magia, di quelle, riteniamo, irripetibili: irripetibile per il tipo di sound ottenuto, il classico, bellissimo e sempre toccante lo-fi da cameretta, il cui impianto strutturale però è così fragile da correre il rischio di tramutarsi in boiata colossale in un attimo, e ancora irripetibile, perché se sono vere le leggende che raccontano della lunga separazione delle sorelle e del loro fortuito incontro parigino, già dal prossimo disco verrebbe meno l'urgenza espressiva e la chiarissima volontà di "catturare un momento" che questo disco tanto bene esprime.
"La Maison de Mon Reve" si muove, musicalmente, su due coordinate differenti che a volte rimangono parallele, a volte riescono ad intrecciarsi con risultati alquanto sorprendenti. La prima è rappresentata da canzoni di stampo eminentemente classico, spesso accompagnate dalla sola chitarra acustica e da rumori di sottofondo: la splendida "Terribile Angels", il gospel d'altri tempi "Jesus Loves Me" così divino e così pagano allo stesso tempo, l'atmosferica "Good Friday", tutta sussurri e dis-armonie vocali, la lirico-psicopatica "Candy Land" e la conclusiva, tristissima "Lyla". La seconda, quella che ci sembra maggiormente interessante e originale, è un'inedita commistione tra l'hip hop, o meglio, il trip-hop e l'estetica lo-fi , il tutto fatto viaggiare indietro nel tempo di un centinaio d'anni: provate a immaginare come suonerebbero i Portishead morti e sepolti, richiamati dall'oltretomba tramite una tavoletta ouija per un ultimo glorioso show, e vi farete un'idea dello stile di pezzi quali "By Your Side", in cui la voce è davvero incredibilmente simile nell'attitudine a quella di Beth Gibbons, oppure "Haitian Love Song", nella quale compaiono oltre a questo proto-beat elettronico, anche la chitarra e una sorta di wah wah ottenuto non si sa come.
Tirando le somme, proprio per il fortissimo carattere di "unicità" che questa opera presenta, l'auspicio è che le sorelle Casady sappiano innanzitutto mantenere intatta questa ispirazione, e che riescano, in lavori futuri, a mettere a fuoco le idee rendendo più solido l'aspetto compositivo delle canzoni in senso stretto, concentrandosi maggiormente sulla scrittura che sulla "coolness" del sound generale; quelli che si possono permettere di sfornare album in bassa fedeltà per dieci anni rimanendo su un livello alto di qualità si contano sulle dita di una mano.
06/12/2006