La Anticon è da qualche anno un punto di riferimento per chi vuole affrontare i nuovi percorsi dell'hip-hop e non solo: un'etichetta simbolo, un marchio che parla da solo. La destrutturazione dell'hip-hop e la sua visione da angolazioni veramente differenti, sia dal punto di vista dei suoni, molto distanti dagli standard americani, sia dal punto di vista del rappato, quando questo è presente, caratterizzato da una ricerca più profonda di temi che non siano il connubio donne/soldi/macchine/sparatorie.
Proprio un altro mondo, più vicino al panorama europeo che a quello statunitense: numerose, infatti, le collaborazioni di artisti della Anticon con etichette e artisti europee (da segnalare assolutamente quella tra cLOUDDEAD e Hood in "Cold House", penultima fatica della band inglese), come numerose sono le idee in comune, le direzioni a cui si mira, le sonorità da esplorare. Alias ha debuttato su Anticon Records nel 2002 con un disco, "The Other Side Of Looking Glass", capace di dare nuove vesti all'hip-hop canonico, annegandolo in acque parecchio torbide, come fecero gli indimenticabili Cannibal Ox: basi dark dilatate, psichedeliche cavalcate di beat spezzati, campioni sferraglianti, rime taglienti. Un ascolto che non lascia un attimo di tregua.
Passa un anno e Brendon Whitney (vero nome del nostro) produce "Muted", edito sempre da Anticon, e sembra volerci dire che è ora di guardare altrove. Sparisce la sua potente voce e con essa testi il più delle volte molto belli: la componente ambientale prende il sopravvento e, assieme ad essa, quella prettamente elettronica. Così Alias si perde un po' alla ricerca del beat perfetto, tra glitch e noia, dimostrando con due sole composizioni cantate (da recuperare assolutamente "Unseen Sights", cantata da Markus Acher dei Notwist) di essere un eccellente produttore, ma di essere quasi completamente dipendente dalla parte vocale, da quel qualcosa che conferisca profondità e accessibilità alle sue stanze, troppo spesso vuote, spoglie.
Ora esce "Lillian", terzo disco di Alias, completamente composto e registrato in compagnia del fratello Ehren, di undici anni più giovane e polistrumentista di talento (flute, alto sax, soprano sax e clarinetto): il disco, dedicato e ispirato alla nonna dei due (Lillian, appunto), riprende il discorso lasciato in sospeso nel precedente "Muted". Siamo di fronte a un disco molto omogeneo, quasi monocorde; le composizioni sono tutte interamente strumentali, basate sul solito gioco ambiente+beat e, questa volta, arricchite dagli arrangiamenti di Ehren, caldi intrecci di strumenti a fiato, eteree melodie che conferiscono un lato più umano alle basi di Alias, capace sì di confezionare basi praticamente inattaccabili, ma incapace di trovare una via d'uscita al tunnel che lo ha portato sino a qui. Non tutto è negativo, bisogna essere chiari: il carattere cinematico della musica dei fratelli Whitney affascina in più di un'occasione così come gli spazi che si creano, le pause, gli ambienti. Certa elettronica rapisce e la cura dei suoni stupisce in più di un'occasione, dimostrazione che Alias non ha nulla da invidiare alle migliori produzioni del genere ma, sinceramente, potrei descrivere ognuno dei tredici pezzi alla stessa maniera, concentrandomi magari su qualche atmosfera che cambia qua e là, ma sarebbe un compito davvero arduo e inutile, alla fine, vista la pochissima varietà alla quale siamo di fronte.
Il disco scorre addosso lasciando davvero poche tracce. "Lillian" può essere un ottimo album di musica da sottofondo, d'atmosfera, ma fuori da questa definizione non regge gli ascolti, a meno che non abbiate aperitivi in corso per la vostra intera giornata.