Avessero ricevuto maggiore credibilità, gli Hood avrebbero di certo coniato un nuovo sottogenere rock. Il loro non è slow-core, non è electro-pop, non è (neo-)psichedelia, e nemmeno (o non solo) rock da camera. Al pari dei Bark Psychosis, chiamano in causa quanto in loro potere per evocare gelidi psicodrammi esistenziali che hanno la forza e la profondità espressive per elevarsi al cosmo: congiunzioni elettroniche, crescendi metafisici conditi con improvvise dilatazioni, accompagnamenti jazzy, droni sommessi di chitarre naif, linee vocali tra i mormorii enigmatici dei Gastr del Sol e le melanconie lontane di certi Microphones, staffilate minimaliste dei tardi Talk Talk, e le ossessioni monocrome prese a prestito dal dark-gothic.
E' una miscela che trova i suoi apici insuperati in "Cold House" (Aesthetics, 2001), e nell'Ep seguente ("You Show No Emotion At All"; Domino, 2002) che raccoglie alcuni interessanti brani rimasti inediti. Dopo aver fatto uscire una compilation di singoli ("Single Compiled"; Misplaced Music, 2003) per stuzzicare l'appetito nel frattempo creatosi, i Nostri finalmente ritornano con un attesissimo album nuovo di zecca.
Dopo una breve "Intro", "The Negatives...". ha un passo doo-wop, mentre il canto ha un pizzico di enfasi drammaturgica in più che lo rende persino contagioso. "Any Hopeful Thoughts Arrive", per tutta risposta, ha ritmi vividi da r'n'b alternativo, arpeggi in cut-up e una rottura armonica meno pronunciata, come Mogwai e Gastr del Sol alle prese con una pop-song convenzionale ma dai potenziali risvolti tragici; la chiusa sinfonico-percussiva ne è ottima appendice.
Sono tutte intuizioni messe al servizio della canonica gerarchia pop, a tratti suggestive, ma di fatto sterili. "End of One Train Working", prevede una nenia folk alla American Music Club di chitarre acustiche sopra percussioni scure, con clapping e un breve intermezzo di barriti violinistici frammentati da rintocchi electro, che scaturisce una ripresa con nuova coda sinfonica di archi e svirgolate eteree.
Con "Winter '72" gli Hood continuano la loro ricerca creativa negli strazi interiori, le loro colonne sonore di crisi incipienti. A dare l'armonia sono, dapprima, giochi vocali in distorsione poi raggiunti da chitarre relegate ai margini della scena, mentre la batteria si dimena convulsa. C'è poi un crescendo dissonante di cascate monoaccordali: questo brano è forse il loro "Ascension Day", pure inscenato con una sensibilità più epidermica dei Talk Talk. Le sperimentazioni effimere dell'album imboccano la via della creazione artificiale con "The Lost You", il brano emblema che avrebbe potuto aprire il nuovo corso post-"Cold House", mentre "Still Rain Fell" ha un lontano richiamo a certi attempati andamenti lo-fi pop, con vere e proprie cellule vocali, un soliloquio di organo e, ancora, evidenziazioni da forma-canzone.
"Closure", il tour de force del disco, si trascina per 7 minuti secondo progressioni umorali-cameristiche in crescendo, sormonti di cori diafani e una chitarra acustica che dialoga in sottofondo con campioni e crepitii dimessi. La stessa progressione ritmica innerva le componenti del vero pezzo forte del disco, "L. Fading Hills", il momento in cui risiede la vera evoluzione di suono della band: rintocchi di piano che richiamano rintocchi di synth, che a loro volta richiamano fraseggi di tromba, che a loro volta smaterializzano le voci armonizzate fino ad amalgamarle nell'atmosfera. L'arte incantatrice degli Hood torna a farsi commovente soprattutto nei vocalizzi finali, di sapiente mimica tra timbri electro e timbri naturali, come un timido tentativo di dialogo metafisico tra due mondi non comunicanti. Chiude il disco la breve cantata ambient di "This Is It, Forever", con nebbie smozzicate dell'elettronica e nuove deformazioni vocali che si muovono raminghe sopra i palpiti delle tastiere, terminando in un'intensa atmosfera salmodiante.
Doppiamente magico: allo stesso tempo distante e vicino alle loro opere precedenti, ma anche pienamente autonomo dalle tendenze del post-rock, anche quando si fa oleografico, indipendente persino dai loro stessi creatori. Giustissimo commiato di una band germinale, che non perde occasione per impiegare equilibrio e complessità in ogni momento, pur nei limiti di formato e sostanza. Irrinunciabile anche il ricorso a elettronica e manipolazioni vocali,a tratti quasi post-Wyatt. E' un "Cold House" deciso a esplorare le sostanze ultraterrene che ha dapprima evocato; purtroppo senza seguito, ad esclusione del progetto Bracken di Adams. L'Ep apripista di "The Lost You" contiene quattro tracce inedite di Fahey-iana folktronica ambientale, rimaste escluse dall'album: "You Can't Breathe Memories", "The Rest Of Us Still Care", "By Island Lake" (estratti) e "Over The Land Over The Sea".
16/01/2013