Che la Scandinavia sia diventata uno degli avamposti del pop-rock internazionale è cosa ormai assodata. Meno nota ai più, forse, era la presenza a quelle latitudini di una spiccata sensibilità avant-folk, sulla falsariga, ma per molti versi più sincera, di quella dei discepoli americani di scuola pre-war. Se infatti il carrozzone di Devendra Banhart e compari rischia di ritrovarsi di qui a poco nel vicolo cieco delle mode effimere, la corrente scandinava sembra stia trovando una sua precisa identità al di fuori del cerchio degli hippie fuori tempo massimo e del loro hype a orologeria. Una identità che va ricercata nel senso di purezza ancestrale che quelle terre nordiche indubitabilmente evocano, in una genuinità quasi naif, svincolata da qualsiasi sudditanza alle tendenze dell'oggi.
Nel caso del cantante e chitarrista svedese Nicolai Dunger, poi, appare subito chiaro che ci troviamo di fronte a un fervente seguace di Tim Buckley. A Taste Of Ra, il suo nuovo progetto nato dopo una serie di lavori solisti (e la collaborazione con Will Oldham, in "Tranquil Isolation"), è infatti decisamente indirizzato sulle rotte del Navigatore delle stelle, alla ricerca di un vocalismo altrettanto acrobatico e straniante, frammisto a delicate ambientazioni pop, in un continuo avvicendarsi di tenebre e luce. Nel solco di Buckley, Dunger sembra interessato a usare la voce come strumento principale attorno al quale catalizzare l'attenzione. Organo, piano, chitarra e flauto, uniti a sporadiche percussioni e found sound, costituiscono la sua peculiare "orchestra".
"A Taste Of Ra" - poco più di mezz'ora di musica suddivisa in undici tracce - è un lungo flusso di coscienza per il quale l'abusato termine "catarsi" potrebbe per una volta non risultare fuori luogo. Dunger, infatti, pare quasi intento a esorcizzare i suoi fantasmi nel chiuso della sua stanzetta (a volte il suono sembra addirittura provenire dal fondo di un pozzo...), spalancando occasionalmente le finestre (in senso reale: se ne ode il rumore) su uno scenario bucolico, dove il sole splende e gli uccellini cinguettano ("Ride Your Smile").
Ciò che stupisce di A Taste Of Ra è la capacità di creare atmosfere con il minimo della strumentazione e senza sacrificare del tutto la forma-canzone, come nella stupenda ouverture di "Lovearth Song", che scivola subito in una vertigine di quiete mistica: pochi arpeggi di chitarra, un flauto atmosferico e i ricami del piano incorniciano la bella melodia triste cantilenata da Dunger nel primo dei suoi deliqui sonnambuli.
I suoni fluttuano nella psicologica ricerca di uno spazio-tempo primordiale: l'allucinazione buckleyana di "Prowl Round About Blues" si consuma tra aromi psichedelici e saliscendi vocali, in un blues sospeso nel vuoto siderale; in "Miracle Wait" rintocchi spettrali fanno da intro a un'altra salmodia disperata per piano e voce; "Wind And The Mountain III" recupera perfino suggestioni country; "...Break It Down Lovearth" non fa che "distruggere", per l'appunto, la "Lovearth Song", stravolgendone il motivo in un bislacco arrangiamento; mentre "Final Embrace" è quasi la summa di questo sound abulico ed estenuato, con la voce di Dunger - tutta tremolii e gemiti nevrotici - a vibrare in una foresta di spettri, tra strimpellii sconnessi, note funeree di piano e cori glaciali.
In altri casi, sono i brevi strumentali ad ammaliare: dall'interludio quasi freak di "Indian Love Call" alla nenia pastorale di "Indian Love Calls Again", fino alla struggente piéce pianistica à-la Satie della conclusiva "Hidden Reminder".
Il percorso di immersione nelle languide atmosfere flowing free-folk deraglia solo quando sopraggiunge il treno in corsa di "Can You?", ariosa campfire song scandita dalla batteria (praticamente l'unica del disco). E' il classico "pesce fuor d'acqua": inopportuno o piacevole diversivo a seconda dei gusti.
Un disco che, ascolto dopo ascolto, si rivela in tutta la sua ostica bellezza.
Dopo anni di gavetta, con A Taste Of Ra il "trovatore svedese" Nicolai Dunger sembra aver trovato la sua dimensione ideale. A metà strada tra i ghiacci e le stelle. Tim Buckley , da lassù, apprezzerà.
17/02/2010