Nel caso del cantante e chitarrista svedese Nicolai Dunger, poi, appare subito chiaro che ci troviamo di fronte a un fervente seguace di Tim Buckley. A Taste Of Ra, il suo nuovo progetto nato dopo una serie di lavori solisti (e la collaborazione con Will Oldham, in "Tranquil Isolation"), è infatti decisamente indirizzato sulle rotte del Navigatore delle stelle, alla ricerca di un vocalismo altrettanto acrobatico e straniante, frammisto a delicate ambientazioni pop, in un continuo avvicendarsi di tenebre e luce. Nel solco di Buckley, Dunger sembra interessato a usare la voce come strumento principale attorno al quale catalizzare l'attenzione. Organo, piano, chitarra e flauto, uniti a sporadiche percussioni e found sound, costituiscono la sua peculiare "orchestra".
"A Taste Of Ra" - poco più di mezz'ora di musica suddivisa in undici tracce - è un lungo flusso di coscienza per il quale l'abusato termine "catarsi" potrebbe per una volta non risultare fuori luogo. Dunger, infatti, pare quasi intento a esorcizzare i suoi fantasmi nel chiuso della sua stanzetta (a volte il suono sembra addirittura provenire dal fondo di un pozzo...), spalancando occasionalmente le finestre (in senso reale: se ne ode il rumore) su uno scenario bucolico, dove il sole splende e gli uccellini cinguettano ("Ride Your Smile").
Ciò che stupisce di A Taste Of Ra è la capacità di creare atmosfere con il minimo della strumentazione e senza sacrificare del tutto la forma-canzone, come nella stupenda ouverture di "Lovearth Song", che scivola subito in una vertigine di quiete mistica: pochi arpeggi di chitarra, un flauto atmosferico e i ricami del piano incorniciano la bella melodia triste cantilenata da Dunger nel primo dei suoi deliqui sonnambuli.
I suoni fluttuano nella psicologica ricerca di uno spazio-tempo primordiale: l'allucinazione buckleyana di "Prowl Round About Blues" si consuma tra aromi psichedelici e saliscendi vocali, in un blues sospeso nel vuoto siderale; in "Miracle Wait" rintocchi spettrali fanno da intro a un'altra salmodia disperata per piano e voce; "Wind And The Mountain III" recupera perfino suggestioni country; "...Break It Down Lovearth" non fa che "distruggere", per l'appunto, la "Lovearth Song", stravolgendone il motivo in un bislacco arrangiamento; mentre "Final Embrace" è quasi la summa di questo sound abulico ed estenuato, con la voce di Dunger - tutta tremolii e gemiti nevrotici - a vibrare in una foresta di spettri, tra strimpellii sconnessi, note funeree di piano e cori glaciali.
In altri casi, sono i brevi strumentali ad ammaliare: dall'interludio quasi freak di "Indian Love Call" alla nenia pastorale di "Indian Love Calls Again", fino alla struggente piéce pianistica à-la Satie della conclusiva "Hidden Reminder".
Il percorso di immersione nelle languide atmosfere flowing free-folk deraglia solo quando sopraggiunge il treno in corsa di "Can You?", ariosa campfire song scandita dalla batteria (praticamente l'unica del disco). E' il classico "pesce fuor d'acqua": inopportuno o piacevole diversivo a seconda dei gusti.
Un disco che, ascolto dopo ascolto, si rivela in tutta la sua ostica bellezza.
Dopo anni di gavetta, con A Taste Of Ra il "trovatore svedese" Nicolai Dunger sembra aver trovato la sua dimensione ideale. A metà strada tra i ghiacci e le stelle. Tim Buckley , da lassù, apprezzerà.
(17/02/2010)