Santo Niente è il moniker dietro cui opera Umberto
Palazzo, senza dubbio una delle menti più fertili del rock indipendente
italiano. Dal 2004 con tre new entry, la band approda a questo nuovo lavoro dopo
l'Ep "Occhiali Scuri Al Mattino", dimostrando di restare fedele a un rock grezzo
ma tagliente, affascinato da melodie sinuose, sprazzi punk-noise e rapimenti
dark-wave. Registrato in presa diretta nel giro di una decina di giorni e sotto
la supervisione dell'ottimo Fabio Magistrali, "Il Fiore dell'Agave" è un disco
onesto e a suo modo coraggioso. Sa parlare con sincerità di una desolazione
recondita, nascosta sotto l'asfalto delle metropoli e pronta a rapire l'anima.
Le liriche di Palazzo tradiscono una passione bruciante, che sceglie di
parlare anche per astrazioni, senza perdersi mai in volgari nonsense
intellettuali. Lo-fi come possibile esempio di una scrematura radicale di un
rock già da par suo abituato a non nascondersi dietro un dito. Piuttosto,
conscio di appartenere a una tradizione gloriosa, cui non teme di doversi
sottomettere pur di (ri-)darle lustro e di appartenerle. Non stupiscono, quindi,
i Joy Division rifatti dai Died Pretty
di quel gioiello di "Luna Viola": oscurità e visioni desertiche, dentro polpa
tribale. Circolarità ossessiva che in "Spirituale" sceglie di dileguarsi dietro
inflessioni hard-eliche e in "Prima Della Caduta" tra le pieghe di una
confessione dolente che si libera in un'esplosiva accelerazione psycho-punk. Le
"Nuove Cicatrici" conservano il ricordo di ferite profonde, il lato nascosto di
una emotività sull'orlo del baratro, nonostante si presenti in punta di piedi
sulla soglia di una tessitura strumentale languida e trasognata (che ritroveremo
anche nel pop indie-tronico di "Candele").
Ma alla rabbia implosa
subentrano anche momenti più svagati e decisi a far valere la foga e l'energia
del punk ("Facce Di Nylon" e "Le Superscimmie"), oppure certe valenze
atmosferiche dell'indie-pop ("Occhiali Scuri Al Mattino", qui decisamente più
groovy rispetto alla versione contenuta sull'Ep). C'e spazio anche per un'idea
moderna di dark ("Santuario"), andante e disinibita, e per la danza dai sapori
mediterranei di "L'Attesa". Da una registrazione casalinga proviene, infine, il
bolero estatico di "Aloha", l'eremo più recondito da cui poter osservare con
disincanto lo sfacelo della società e, nonostante tutto, continuare a sperare e
a credere nell'amore: "Mi sembra di sparire/ di diventare immateriale/
dimenticarsi e dimenticare/ non è affatto male. Non che sia brutto qui/ ma
riguarda me/ io vi amo maledetti/ io vi amo tutti".
Come non credergli?