Quando si è giovani non si hanno molti soldi per acquistare dischi, ma in compenso si ha molto tempo per ascoltarli. Un disco appena uscito all'epoca lo ascoltavo in pochi giorni dieci, venti, trenta volte, ne annusavo la copertina, lo rigiravo seguendo i testi, ne imparavo ogni singolo passaggio, in un ascolto concentrato, attento, direi a volte di un rigore semi-professionale, ma anche con amore viscerale e dedizione razionale.
Poi gli anni passano, la musica passa spesso come sottofondo, hai qualche soldo in più, ma adesso ti manca il tempo e tendi a bruciare i dischi nuovi in ascolti distratti, infilati tra un impegno e l'altro, spesso in macchina mentre vai al lavoro, cogliendo spesso solo lo sfondo, rinunciando ai dettagli, al gusto dell'inciso, del rimando, del suono, anche del difetto.
A ben vedere, molti dei dischi ascoltati negli ultimi anni di tali modalità di ascolto non possono che avvantaggiarsene, come quelle donne coperte di cerone... ti avvicini a cogliere i dettagli e scopri il perché di tanta cosmesi.
Ebbene, forse per il fascino del nome, forse per quei caratteri grigi in rilievo nella copertina, forse per quel piccolo logo Charisma che riappare a ricordarmi vinili gloriosi, forse solo perché anche a (quasi) quarant'anni covi le stesse passioni e attitudini dei venti, ma mi sono ritrovato ad ascoltare il nuovo disco dei Van der Graaf Generator con l'attenzione e la costanza di un tempo.
Il disco del ritorno, il disco della ricostruzione del gruppo dopo ventisette anni. Segno dei tempi. Cosa mi aspettavo?
Un'operazione nostalgia? Un nuovo sguardo verso il futuro? Il suono di un carillon dell'infanzia o un urlo primordiale? Rassicurante ordine di vecchi perimetri o convulsioni moderniste? Vecchie ninne nanne o acido nelle mie vene? Espansione dell'Hammill solista o prova corale?
Difficile rimanere delusi, in tutti i casi, perché "Present" è tutte queste cose, ed è innanzitutto, per fugare ogni dubbio, un disco dei Van der Graaf Generator al 100%.
Tautologia solo apparente. Hammill, Jackson, Banton, Evans. VDGG.
Come annunciato da tempo, due compact disc, uno breve (trentotto minuti) di canzoni e uno lungo (più di un'ora) di improvvisazioni in studio.
Parte "Every Bloody Emperor" e già è un tuffo al cuore, pochi accordi di liquido piano elettrico e un sax dall'aria conosciuta e quando parte il vocione di Hammill hai già le antenne dritte. Poi un flauto accompagna la voce, Hammill sbuffa nel microfono, il pezzo sale di tono e tu cominci a sorridere. Melodia orecchiabile, dopo due volte la canticchi, entra l'organo, prova un giro che si infrange contro un solo di sax a stento tenuto in carreggiata, ripresa del tema iniziale e tanti saluti a casa. Bello. Molto bello. Per chi conosce il gruppo, è un pezzo che ricorda un po' "Undercover Man" da "Godbluff". "Boleas Panic", scritta da Jackson, è uno strumentale a tratti lancinante, tutto giocato tra un bel tema di sax e un organo che spinge e si contorce nelle retrovie. Un gorgo magmatico e ribollente. Un urlo senza liriche.
I nuovi VDGG scelgono la presa diretta, sembra di assistere a un live in studio, si annusano istinto e imperfezione, fatica e passione ad alto coefficiente drammaturgico.
"Nutter Alert" è il secondo brano orecchiabile del lotto, percorso da un Hammill declamante come non mai, con un sax che imperversa tra ordine ed epilessia. Poi "Abandon Ship" e "In Babelsberg", febbrili e frementi, partono da dove era finiti i VDGG negli anni 70, con "Vital", dal furore istintuale, aspro, tagliente, abrasivo di quel loro epilogo momentaneo, partono da dove il progressive si era arenato come una balena bianca, luccicante ma inerte, partono da traiettorie mutevoli e irregolari che l'Hammill solista ha toccato senza però penetrarvi appieno, partono dal presupposto che un gruppo di ultracinquantenni può anche suonare come una indie-band, tangenti all'intensità del caos senza sposarne mai la scorciatoia creativa.
Chiude il primo cd "On The Beach", con Hammill malinconico al piano accompagnato da un Jackson in vena di cool jazz. Dopo 37' e 34" ascoltati svariate volte, la sensazione di stare ascoltando un bel ritorno a casa è molto forte.
Dopo aver ascoltato il secondo cd, ti accorgi che gli ospiti stanno ripartendo.
Improvvisazioni. Un gruppo progressive che pubblica un'ora di improvvisazioni.
Dei gruppi storici solo i King Crimson hanno dimostrato fino ad ora di aver avuto dimestichezza con il genere. Piaceranno o affosseranno il disco, già in partenza non certo vellutato. L'appassionato di progressive medio non ha inclinazione per l'improvvisazione.
Lo dico subito, per me il valore aggiunto di "Present" è tutto nel secondo disco. Il primo è molto bello, il secondo impegnativo, ma straordinario. Niente cacofonie e spontaneismi. Niente una botta e via. Tutti i brani nascono da intuizioni musicali e atmosferiche che si avviluppano, si sgretolano per poi ricomporsi, in un incessante lavorio di fatica creativa posta nell'immediatezza del rapporto con lo strumento. Se Keith Jarrett fosse un gruppo suonerebbe come i VDGG. Un pizzico di elettronica come condimento.
Se devo porre qualche riferimento non mi sovvengono né i King Crimson né i Soft Machine, ma piuttosto a tratti gli Spring Heel Jack o addirittura Tim Berne.
Suono assolutamente rock e assolutamente vandergraffiano, comunque, addirittura un paio di brani, come ad esempio "Crux", sembrano abbozzi strumentali di canzoni in divenire e forse lo sono.
E allora non resta che passare al voto.
Se cambiassero nome, mi aspetterei persino un bel voto da Blow-Up e dal Mucchio. Comunque 4 R da Rockerilla le darei per certe.
Ma il voto adesso devo darlo io: 8.
01/05/2005