Zu

The Way Of The Animal Powers

2005 (Xeng)
avant-rock

Molto tempo fa assistetti a una disquisizione in cui si affermava che il cervello umano reagisce e in qualche modo "riconosce" la musica tonale. I test erano fatti, prevedibilmente, con Mozart e soprattutto con Bach. Ma nel contesto mi domandai: ma allora perché molta gente ascolta e apprezza Stockausen, Schoenberg, Ligeti, il free-jazz, la musica concreta, il rumorismo?
Non solo perché vengono comprate, ma proprio perché esistono tali musiche, se lo stato di natura è in sintonia solo con la musica tonale? I feti nella pancia sentono il battito regolare del cuore della mamma, i bambini per addormentarsi ascoltano nenie a struttura circolare, i mistici orientali facilitano lo stato di trance con mantra ripetitivi.
A nessuno verrebbe in mente di addormentare i bambini o andare in trance con Anthony Braxton o Stockausen.
O con gli Zu.

C'è indubbiamente qualcosa di ancestrale nella simmetria, nell'ordine e nell'aspettativa di una nota o di un accordo, qualcosa di sepolto in noi nella notte dei tempi, qualcosa di intrinseco alla specie, uno specchio dell'ordine dell'universo.
La musica è numero. Mozart e Bach. Genialità.
La genialità di musiche che hanno qualcosa da dire al superesperto come ai bambini e alle piante.
Musiche per un mondo perfetto, con un ordine garantito da Dio, un mondo di molte risposte e poche domande, un mondo di re e regine, con i pianeti che ruotano per l'eternità, un mondo dove se cade una mela è sulla testa di Newton.
Ma forse l'uomo è qualcosa di più complesso e il cosmo lo è ancora di più.
Forse siamo un magma, non un giardino, siamo un labirinto, non una linea retta.
Forse è per questo che ci piacciono anche gli Zu. Forse è per questo che gli Zu esistono.

Anche con gli Zu le mucche del Wisconsin fanno più latte? Chiediamolo a Baricco.
A un certo punto ci siamo tolti le lenti rosse e abbiamo visto che la realtà non è di tale colore, abbiamo rotto l'atomo e con esso un universo di certezze e di ordine e nel 900, un secolo ribelle, come diceva Salman Rushdie, abbiamo cambiato per sempre la nostra concezione dell'arte, sempre specchio della realtà, ma di un'altra realtà.
È per questo che ascolto e apprezzo un gruppo italiano (romano?) di chiara fama underground, ma a me finora ignoto nella pratica.
Ma basta divagazioni.

Lo dovete comprare? Disco brevissimo, quasi interamente strumentale, a parte alcuni parlati onestamente punto debole del lavoro, line-up con basso, batteria, sax e cello, nove brani a formare una specie di suite. Non li avevo mai ascoltati... altissimo coefficiente di improvvisazione, con cello e sax che divagano tra ombre diafane di jazz e camerismo su una base ritmica asciutta quanto frammentata da un prisma maligno.
Non conosco i totem del gruppo, ma a me sembra di ascoltare una versione decomposta e rallentata dei Naked City, oppure una variante meno schizoide dei Supersilent, ma a volte vengono anche in mente i Morphine che improvvisano in studio.
C'è molta energia e tensione oscura in questo disco, una tensione quasi da hard-rock esistenzialista, una tensione congelata, come sotto pressione, una tensione evocata, ma mai liberata.
Lo dovete comprare?
Io ritorno ad ascoltare Bach e i Jethro Tull, ma questo disco, pervaso di un fascino malato e decadente, è molto bello. Di più, è interessante.

10/12/2006

Tracklist

  1. Tom Araya Is Our Elvis
  2. Anatomy Of A Lost Battle
  3. Shape Shifting
  4. The Aftermath
  5. Things Fall Apart
  6. The Witch Herbalist Of Remote Town
  7. Farewell To The Species
  8. A Fortress Against Shadows
  9. Every Seagull Knows

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