Detto fra noi, questo disco era più prevedibile dell’agnello a Pasqua.
Perché? La spiegazione sta nel riassunto delle puntate precedenti. Nella prima metà del 2005, Richard D. James fa uscire sotto il vecchio pseudonimo di Afx (e dunque per Rephlex, l’etichetta di sua proprietà) una serie battezzata "Analord" perché, in sprezzo delle numerose possibilità che la tecnologia digitale offre ai musicisti della nostra epoca, ogni pezzo è stato creato utilizzando esclusivamente quell’attrezzatura analogica di cui Mister Aphex è noto collezionista e costruttore. Altra peculiarità dell’opera è che le tre ore e mezza di musica che la compongono vengono pubblicate su undici Ep che escono esclusivamente in vinile. Il vezzo delle uscite in solo vinile è quasi un’abitudine per l’ alter ego Afx, così come la ristampa su cd dopo un certo tempo. E’ successo con gli "Analogue Bubblebath" e più recentemente con i due "Hangable Auto Bulb", non poteva che succedere anche stavolta. Quello che però stupisce è che, per la prima volta, la versione in cd è ampiamente mutilata. Invece dell’elefantiaco cofanettone che aspettavamo fiduciosi, abbiamo un solo dischetto contente all’incirca un terzo di "Analord" e la cui tracklist è frutto dell’insindacabile arbitrio dell’autore.
E poi c’è il fatto che il nuovo Afx è ancora una volta un "non tanto nuovo". Inedito su cd, va bene, ma già sentito l’anno scorso. E già allora un dubbio era emerso prepotentemente: è materiale nuovo o una pletora di vecchie composizioni mai utilizzate prima? Dare una risposta era impossibile un anno fa e resta impossibile oggi, ma l’impressione che tutto questo sia una specie di diversivo rimane. Un’altra mossa per prendere un po’ di tempo in una fase di stallo creativo: non si sente nulla di sicuramente nuovo dai tempi di "Drukqs" (2001), e già su quelle due ore di inediti si era notato un certo affanno. E’ come se il nostro pusher elettronico di fiducia ci facesse attendere dall’anno dell’Odissea nello spazio. E intanto scuse, intanto "prova questa, per ora, che non è male". Ma la fame resta, come quella sensazione di picchi mai raggiunti che ci portiamo dietro dai tempi del Nirvana Aphex-pop di "Windowlicker".
Se ci fermiamo alle composizioni, però, dobbiamo ammettere che sono sempre oggetti di buonissima fattura, talvolta anche qualcosa di più. Afx rivendica la sua maestria in un campo in cui effettivamente è il numero uno, anche se è un ambito in cui si è già fatto praticamente tutto. E’ un po’ come se oggi uno dei più grandi poeti del mondo si mettesse a scrivere sonetti. Per quanto possano essere riuscite e gradevoli, c’è ancora posto per operazioni del genere? Ben vengano le limitazioni autoimposte, ma cosa succede se la forma influenza pesantemente il contenuto?
Ci consolano, comunque, veri e propri sfoggi di bravura come "Fenix Funk 5" e "XMD 5a", che compongono per intero "Analord 10" (l’altro "Analord" presente nella sua totalità è il quinto), due fra i pezzi migliori di tutte le tre ore viniliche. "Fenix Funk 5" è il tipico Afx nervoso e traboccante di invenzioni, come il piccolo inserto melodico che sembra suonato da una spinetta o i synth atmosferici. "XMD 5a" è ancora meglio, così ricca dei suoi sobri accompagnamenti che marciano fianco a fianco su un semplice canovaccio ritmico. Se fosse uscito dieci anni fa, quel gusto quasi minimale e la consueta atmosfera straniante avrebbero fatto di questo pezzo un classico.
Naturalmente, poi, ognuno troverà in questa selezione qualche assenza (per lui) ingiustificabile. Nel mio caso, reputo un mezzo crimine aver escluso "W32.Mydoom.Au@mm", parabola cinetica che strizzava l’occhio alle colonne sonore di John Carpenter e forse unica pretendente allo status di vero capolavoro sulle ventidue facce degli "Analord".
Tornando a quello che c’è, però, non ci si può che rallegrare dell’inclusione di quel caratteristico vocoder che forma linee melodiche singhiozzanti come in "Crying In Your Face", probabilmente il picco emotivo del disco. Come spesso accade con Afx, è un vocoder incomprensibile, ebete, geniale, insinuante. Ci piacciono anche il flipperone drogato e l’ arrangiamento multicolore di "Pitcard", un Afx a cui è apparso μ-Ziq in sogno. Tipicamente old style a partire dal titolo è "Batine Acid", traccia portata in spalla da un solido 303 che, se da un lato è sempre gradevolissima, dall’altro costringe a interrogarsi di nuovo su quale possa essere lo spazio, oggi, per questo fiero oltranzismo acid . Anche se, è sempre bene chiarirlo, quella di Afx è una visione personalissima e originale del genere, e la sua coerenza, in epoca di revival acido, sicuramente lo pone al di fuori di ogni sospetto di ruffianeria, conferendo semmai un certo valore alla sua cocciutaggine.
In definitiva, la cascata di sequencer modificati, beatbox, sintetizzatori, pezzi di modernariato opportunamente truccati produce dieci buone tracce dall’approccio più fisico che mentale, fra le quali più di una è dotata del segno distintivo del genio. Eppure è impossibile non farsi irritare un po’ da questo disco, o staccare il cervello per godere dell’ascolto e non pensare: "Sì, Richard, ma quando arriva la roba che ci avevi promesso?".
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27/07/2006