Chad Van Gaalen

Skelliconnection

2006 (Sub Pop)
songwriter

Se “Infiniheart” era stata la rivelazione di un talento, “Skelliconnection” ne è oggi necessaria conferma, pur senza riprodurre in toto la magia del suo predecessore. Chad Van Gaalen è, insomma, un’artista di tutto rispetto, che ha elevato l’autarchia artistica (suona e produce tutto da solo) a divinità personale.

Canadese di Calgary, Chad continua a registrare, nella sua stanza-studio, canzoni su canzoni, scegliendo di volta in volta quelle che ritiene essere degne di rappresentarlo in giro per il mondo. Un folksinger , nella sostanza. Ma la forma ci parla di un universo multidirezionale, di un patchwork gioioso dove convivono senza troppi screzi pop, rock, jazz, country e persino un’elettronica dall’anima lo-fi (si veda il curioso scherzo percussivo di “Systemic Heart” e quello, con piano fratturato, di “Dandruff”).
L’immersione è di quelle tenere e rassicuranti, con un pizzicato di chitarra e una voce flebile (tra svolazzi di flauto e linee sinuose d’archi) che disegnano uno scenario tipicamente indie-folk (“Sing Me To Sleep”), anche se, poi, lo shock-rock di “Flower Gardens”, schiumante di elettricità e pestato con ardore post-punk, ci ricordano subito che, da queste parti, la bussola tende a impazzire senza preavviso. Così, se l’algida e scandita “Graveyard” e la stramba folktronica di “Mini Tvs” richiamano alla mente il connazionale Neil Young (efebico e dimesso, nella prima; menestrello languido, nella seconda) e “Rolling Thunder” ha qualcosa da spartire con un certo David Crosby, la gita fuori bordo su navicella poppy & acid di “Gubbish” dimostra un gusto straniato per un melodismo incantevole e seducente.

In chiave distorta, la solennità quasi mistica di uno stomp come “Dead Ends”; in chiave sintetica, l’avvolgente e palpitante “Red Hot Drops”; in chiave country, il battimano indotto, con tracce di Sam Roberts, di “Wind Driving Dogs”. Ce n’è per tutti i gusti, insomma. Basta solo lasciarsi prendere per mano, senza opporre troppa resistenza. Certo, non tutti i brani hanno la stessa forza contagiosa (la psichdelica e pastorale “See Thru Skin”, ad esempio; ma anche il divertissement strumentale di “Viking Rainbows” — o gli stessi bozzetti lo-fi electronic di cui più sopra), e, come dicevamo, la compattezza di “Infiniheart” è solo sfiorata.
Ma bisogna accontentarsi, perché dopo tutto lo sappiamo: queste sono solo 15 delle decine di canzoni che il Nostro ancora nasconde nella sua casetta (di campagna?). Nel frattempo, e non è poco, ci restano ancora la scorrazzante “Burn To Ash” (puntellata da tastierine dispettose) e il banjo zoppicante della tremante “Wing Finger” che, tra xilofono e timida trombetta, saluta tutti e rimanda alla prossima cernita di piccole, grandi canzoni.

03/10/2006

Tracklist

  1. Sing Me To Sleep
  2. Flower Gardens
  3. Graveyard
  4. Systemic Heart
  5. Mini Tvs
  6. Gubbish
  7. Rolling Thunder
  8. Dead Ends
  9. Red Hot Drops
  10. Wind Driving Dogs
  11. Dandruff
  12. See Thru Skin
  13. Burn To Ash
  14. Viking Rainbows
  15. Wind Finger

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