Sapete cosa c’è di buono nel secondo disco dei Kasabian? In un momento in cui si sta facendo della prolissità un’arma di marketing musicale, con doppi e tripli album dove si cerca di dire troppe cose e dove a volte il tutto entrerebbe comodamente in un solo dischetto, è bello mettere nel lettore un cd che dopo meno di quaranta minuti è già terminato, lasciandoci tutto sommato soddisfatti e lontani da quei sensi di noia tipici di quando osservando il display ci si domanda "ancora sei canzoni?", che magari scorrono via senza lasciare segni memorabili. Ebbene, il disco dei Kasabian dura il dovuto e si lascia ascoltare piacevolmente: non è davvero poco di questi tempi.
Se poi dobbiamo discutere sull’originalità della band, o sulle tracce che potranno lasciare nel grande libro della storia del rock, beh, questo è un altro paio di maniche...
Il sound non è molto differente dall’omonimo esordio risalente a due anni fa, quindi se vi è piaciuto quel lavoro, questo dovrebbe piacervi ancor di più, perché risulta complessivamente più vario e completo. I quattro inglesi di Leicester si son trovati a dover dimostrare che il fortuito successo di "L.S.F. (Lost Soul Forever)" non fu un semplice fuoco di paglia, ma che dietro c’è una band con idee e buon materiale sul quale lavorare.
Oggi non sono più una delle tante next big thing create ad arte dalla stampa britannica, e i ragazzi superano la prova riuscendo a strappare un’ampia sufficienza, cosa che ad altre realtà ben più pompate non è riuscita.
Resta intatta la cinematograficità della proposta musicale, vicina a certe atmosfere tipiche di uno 007 ambientato in Medio Oriente, anche se in questo senso la "vecchia" "Ovary Stripe" resta un traguardo insuperato.
Nonostante la breve durata, il disco risulta essere compiutamente diviso in tre parti delle quali la prima (dalla traccia 1 alla 5) composta da convincente "light-rock", la seconda (6-9) dove si aumentano le dosi di elettronica e i campionamenti, la terza (10-11) vera con un'esplosione britpop dal finale a sorpresa.
La formula è "meno campionature e più chitarre" rispetto al passato, e lo si deduce subito dalla doppietta iniziale composta da "Empire" (il primo singolo estratto) e "Shoot The Runner". L’uso degli archi dona quel senso di "arabeggiante" che riesce in alcuni tratti a conferire una buona caratterizzazione al sound dei Kasabian rispetto ad altri gruppi loro coevi (vedi Jet e Killers, tanto per fare qualche nome che sta uscendo in contemporanea in ambito pop).
I coretti alla Beatles di "Last Trip", i morbidi archi dal sapore mediorientale di "Me Plus One" e "Sun Rise Light Flies" (obliquo incrocio fra i fratelli Gallagher, i Black Rebel Motorcycle Club e i tardi Mercury Rev) completano la prima parte del disco.
"Apnea" è lo spartiacque con la seconda parte del lavoro, l’elettronica prende il sopravvento e i suoni sono vicinissimi ai migliori Prodigy: qui è elettronica al 100%.
E poi spazio alla sana psichedelica così late 60’s di "By My Side" e "Seek & Destroy", e alla soft-techno molto "Trainspotting" di "Stuntman".
Il finale è una sfilata trionfale di cliché britpop con chitarre acustiche, ritornelli epici, crescendi iper-enfatizzati, il tutto ben tritato in "British Legion" e "The Doberman", conclusa da un assolo di tromba che aggiunge un piacevole sapore di Spagna.
E’ sparito quel non so che di sinistro che si respirava nel disco d’esordio, vuoi per la copertina vagamente inquietante, vuoi per certi suoni stranianti, vuoi per il nome scelto, rubato a Linda Kasabian (la giovane donna che guidava l’auto con la quale nel 1969 fuggirono gli assassini della "famiglia" Manson dopo il noto massacro di Hollywood, ma che ottenne poi l’immunità totale nel processo testimoniando contro i compagni).
Nel sound dei Kasabian i riferimenti musicali più espliciti sono tanto a Beatles/Oasis/Blur che alla vecchia scena di Madchester (in particolare Stone Roses e Happy Mondays) che a Chemical Brothers/Prodigy. Manipolando il britpop e inserendo le giuste parti di elettronica la band di Leicester arriva a risultati finali prossimi ai Primal Scream di Bobby Gillespie, soprattutto nell’incarnazione di "Xtrmntr", anche se questi ultimi furono dei precursori, mentre qui ci si muove in una materia già ampiamente nota.
Dal vivo riusciranno a riproporre i trucchi utilizzati in sala d’incisione? Probabilmente le canzoni saranno proposte in una veste ancor più chitarristica.
13/11/2006