Anno 2003: Riccardo Sinigallia, produttore di spicco della scena musicale italiana, capace di dare una (bella) forma ai lavori di Max Gazzè, Niccolò Fabi e, soprattutto, Tiromancino (tanto per citare i più importanti), fa i suoi primi passi sotto le luci dei riflettori, dopo anni di ombra, cercata e ambita. Sono passi discreti ma potenti, quasi devastanti per una musica italiana troppo spesso in fin di vita, dove le radici non sono quasi mai riviste o messe in discussione in maniera intelligente e futuristica. E invece dentro i solchi di "Riccardo Sinigallia" c'è il massaggio cardiaco definitivo al pop italiano. E poco importa se sarà un caso isolato, abbiamo pensato... Chissà che fine farà Riccardo dopo questo piccola gemma di cantautorato modernizzato da un uso intelligente di campionatori e synth, questo tesoro da custodire gelosamente che sa di notte e di nebbia, di ricordi e d'amore... L'amore cantato in quella che è una delle più belle canzoni italiane di sempre, "Bellamore".
Anno 2006: Sinigallia torna e lo fa con un disco, "Incontri a metà strada", in cui sembra pulsare il cuore dell'uomo e il suo amore per la canzone, in cui lo spirito di rinnovamento di forme e canoni classici si sposa con la splendida semplicità di chi fa solo ciò che sente e riversa in una manciata di brani la propria vita. Le storie, le persone, le visioni e le emozioni delle prime volte si inseguono e si confondono in un quadro che ammalia e abitua nel suo complesso, pur lasciando ai particolari la forza di attrarre lo sguardo. "Finora" mette in chiaro sin da subito il cambio di atmosfere: "Incontri a metà strada" è, infatti, disco meno notturno e chiuso, slanciato com'è verso l'esterno da un'urgenza comunicativa totalmente nuova, figlia di una consapevolezza forte dei propri mezzi da parte dell'autore. E "Finora" rappresenta una delle canzoni simbolo di questo nuovo disco di Riccardo: aperta da accordi di piano (strumento di cui fa largo uso rispetto al passato), comincia quieta per poi crescere con il passare dei secondi, veemente e sincera. Impressiona, come al solito, la semplice complessità della proposta di Sinigallia, capace di contagiare e di farsi ricordare al primo ascolto pur non rientrando nella categoria delle canzoni pop mainstream.
Il nuovo corso sembra poggiare anche su una particolare attenzione a temi introspettivi e toccanti, quali i sogni spezzati, le amicizie in riassetto nei ricordi, la paura/gioia di diventare genitori. Tutti argomenti di tenera urgenza sociale, di cui, di solito, è difficile parlare senza rischiare di essere un poco dozzinali, a mo' di banchetto tra sconosciuti. Sinigallia pone invece l'accento su una scrittura molto pratica e non propriamente poetica, senza accantonare affatto la musicalità dei toni: è a questo che dovrebbe tendere la struttura moderna della canzone d'autore. La poesia "stretta", presumibilmente, concede più spazio d'azione a discapito della comunicazione; la fotografia verbale restringe il campo, ma manda pure a quel paese gli eccessi di ermetismo, non rinunciando al fascino che diviene, inevitabilmente, più cupo e realistico. Potrebbe essere la nuova via, quasi ad amplificare le ansie di una generazione che vive di terrori ultramoderni, di precarietà riflessive, di eccessi di emancipazione.
Forse il mondo davvero non cambierà, ma alla consapevolezza dell'immutabile è meglio arrivarci dopo aver strizzato il senso delle cose. E un disco del genere, nella sua linearità da copertina (a proposito, brutta davvero), può spingere ad abbassare gli occhi col sorriso di chi ha capito.
La triade "Il nostro fragile equilibrio", "Amici nel tempo", "Impressioni da un'ecografia" ricalca gran parte di queste digressioni intellettuali, giocando a dadi con le normali effusioni che ci si aspetterebbe. La prima, sonoramente scheletrica e arpeggiata di striscio, annulla i ritmi di "Bellamore", ma la mette in contatto con la donna che guarda e non ama di cui si discetta a un certo punto. Cert'è che lì era tutto un confondersi di sensazioni, qui l'amore perduto viene usato (pochissimo) per suffragare il tenue equilibrio interiore di chi non riesce a trovare la propria strada. Questa canzone è completamente stesa su un lettino.
La seconda, lanciata pure come singolo, accelera il tempo di battuta, rallenta quello metaforico. Riccardo rende tangenti la malinconia del ricordo e la possibilità, temuta, di riviverlo. "Amici nel tempo" è un brano con violino e belle fughe di accordi, accasato in un album ingiallito e nel timore di non vivere a pieno le gioie quanto i dolori.
La terza, scritta con la madre del suo nascituro, Laura Arzilli, annienta in una manciata di minuti decenni di boccheggi in rima sui figli presenti e futuri. Volendo prendere in prestito la tecnica del flashback, potremmo collocare questa canzone al principio di "Father And Son", con il dialogo tra generazioni solo anticipato, immaginato e temuto. Il figlio sta per nascere, il "freddo" dell'attesa rizza finanche la pelle, Riccardo già chiede scusa per qualche errore inevitabile. E' un po' tutto quello che rende le notti insonni a un padre, sempre nella speranza di vedersi eternamente congiunto alla carne della sua carne, qualunque sia l'esito delle vicende. Questa è la trovata più comunicativa e suggestiva del disco, quella in cui sorge spontaneo il processo d'identificazione.
Riguardo alle musiche, sembrano riflettere lo stato profondo delle parole, visto che quasi sempre accompagnano in silenzio, con uno stranito fragore. Ogni tanto compaiono un mellotron ("Laura"), un sax e un flicorno ("Il nostro fragile equilibrio"), arrangiamenti orchestrali ("Uscire fuori"), ma è come se fossero dolcemente persi nella tempesta di parole. Le partiture sono quasi sempre riuscite, così come l'alternanza di motivi: buoni gli stacchi, stupendi i cambi urlati tipo l' ". Ora." di "Amici nel Tempo", bellissime le metriche sincopate (alla Battisti) stile il finale de "Il nostro fragile equilibrio", ". cantava tra sé e sé chissà cosa di me sarà". Non sembra del tutto convincente la sperimentazione accennata di "Se potessi incontrarti ancora", anche se la canzone vive di regale vita propria.
Tornando a noi, Sinigallia tiene comunque il polso fermo sull'idea di visioni, andate, mancate occasioni, ossessioni e promesse difficili da mantenere. "Incontri a metà strada" è l'augurio di una risoluzione dei compromessi, un auspicio di svuotamento delle confusioni della tarda gioventù attraverso la presa di coscienza della confusione stessa. E "Anni di pace", come sintesi, sembra video-riprendere il susseguirsi di stati d'animo ed eventi, ingigantendo l'aspetto disordinato delle cose: pare un invito all'accettazione senza rammarico, al vivere sapendo che tanti orpelli contano poco o nulla.
Quest'album è un piccolo grande saggio sull'uomo nel macrocosmo; è un monito, un dirompente e sinistro piccolo incubo urbano, perché l'individuo ivi descritto è perso nelle stelle. Ma attenzione ai tanti momenti in cui si aspetta e ci si guarda intorno, potrebbe essere il modo giusto per assecondare tutto questo carnaio.
13/03/2007