Tortoise/Bonnie 'Prince' Billy

The Brave And The Bold

2006 (Overcoat) | pop

Forse l'incontro è avvenuto sulle strisce pedonali di un'oasi, tanto da indurre il nugolo di temerari a chiacchierare su donne, religione e gusti musicali. Tortoise e Will Oldham hanno così pensato di fare un giro nell'élite del pop per stravolgere e comunicare, retrocedendo di poco rispetto all'attitudine del meccanico quando aggancia la lampada tra i fili del motore. "The Brave And The Bold" è l'unione di due sinonimi che, bene o male, scattano un'istantanea di quanto ci si accinge ad ascoltare, tenendo presente la matrice varia quanto discorde, ancorché coraggiosa e frutto di una particolare selezione. Un disco che, secondo le aspettative, suona sia alieno che fetish, con picchi di picche, delizie non ripetute, polveri da tugurio e pause dalla tremenda oscurità narrativa. Desta impressione udire una "Daniel" così poco melodica e bisex, tutta regolata sul metro dei Tortoise. Oldham stona e mette i punti di sutura alle cadenze perfette della musica, ma quel senso di disturbo resta preponderante e si finisce per rimpiangere davvero un pianoforte. Sia chiaro, l'audacia è da applausi, il riscontro a freddo no.

Le impennate diventano caute e riuscite laddove Oldham non mangia solo il secondo, come nelle canzoni che evidentemente hanno influenzato la sua carriera. "Calvary Cross" degli Albano e Romina londinesi, Richard e Linda Thompson, chiude la porta alle datate sperimentazioni post-qualcosa e mette tutti a proprio agio. Il folksinger recita un'ode vocale da brividi in un contesto certamente più contenuto e comunque poco fedele. Il replay assume il nome di "Pancho", citando Don Williams e i padri del country. Le armonie del canto sono ottime rese in chiave moderna, per quanto aiutate da eccessivi stacchi di batteria.

Fatto sta che quando il confine intellettuale tra proprio e altrui si assottiglia, la linearità è dolce e pimpante. Il ritorno all'oggettistica misteriosa ha la forma di un appuntamento con l'hardcore (originario) dei precari Lungfish terza generazione. Il pezzo di partenza ("Love Is Love"), di per sé, non è la Nona Sinfonia, ma finisce per essere addirittura migliorato da questa non memorabile riesecuzione in cui ognuno sembra improvvisare senza il fascino del casaccio. Una scelta discutibile che si avvale appena dell'arbitrarietà del gusto. Sulla stessa scia divagante si colloca la "That's Pep!" dei Devo, anche se gli effetti sembrano un po' meno artificiosi. Anzi, la voce col riverbero dirige la scena dietro cui tutto gira con una sufficiente pulizia d'intenti, tanto da trovarsi in un buon giro di chitarre varie e bassi. Fermo restando che lo spessore è ben altra cosa.

E', in definitiva, un connubio tra i dinosauri del quarto Jurassic Park, quello ambientato negli anni 90. Connubio imbarazzante quando si trucca da transgender, "longevo" quando segue la strada imposta. E ciò, per quanto artisticamente paradossale, finisce per saltare continuamente alle orecchie. Quindi è terribile la ripresa dal grande Milton Nascimento di "Cravo É Canela", dove gli elementi di samba e jazz sono trasfigurati in un disordine strumentale-linguistico che strappa al massimo un ghigno di perfida tenerezza.
Invero sono passabili la rilettura di "Some Say (I Got Devil)" della sdolcinata cantautrice Melanie, vecchia sosia di una Charlie's Angel, perché tutto rimbomba con tocco minimale e l'elemento pop-folk di partenza si sposa con le papille gustative di chi riesegue; il pezzo dei Minutemen ("It's Expected I'm Gone") in cui i Tortoise danno finalmente il meglio; la riproposizione di "Thunder Road" del Boss. Un'occasione sprecata, direbbe la norma, un matrimonio da spedire in tribunale, suggerirebbe la realtà dei fatti.

(22/12/2006)

  • Tracklist
1. Cravo é Canela
2. Thunder Road
3. It's Expected I'm Gone
4. Daniel
5. Love is Love
6. Pancho
7. That's Pep
8. (Some Say) I Got Devil
9. The Calvary Cross
10. On My Own
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