Mathew Jonson non è venuto qui per raccontarcela, per far credere di essere la nuova cosa dell'elettronica a suon di spot e proclami. Già come solista ve lo raccomandiamo, ma con Danuel Tate e Tyger Dhula, come diceva Neffa ai tempi suoi: “Non ve n'è”.
Cobblestone Jazz, nomen omen, perché l'approccio compositivo di sedersi davanti al pianoforte e cominciare a suonare qui ha senso d'essere, e nonostante le parentele col jazz classicamente inteso finiscano già alla ragione sociale c'è di che sorprendersi per la prima prova del trio sulla lunga distanza.
Era ora che si uscisse dal formato vinilico, tanto buono e caro, che si pone ancora come una barriera verso il cosiddetto grande pubblico, per appoggiare il proprio materiale sul cd, sull'mp3 e su tutti i formati che capillarizzano il nuovo mondo musicale.
"23 Seconds" è l'apertura popular della techno verso le persone, verso il cosmo estraneo e magari annoiato “dai che palle questa musicaccia che ascolti te”, perché a una musica colta e ricca di riferimenti, che partono dalle esperienze berlinesi delle microvariazioni finendo su respiri lounge, associa una vena melodica mai banale.
Già negli scorsi mesi si era potuto godere di una techno nuovamente in forma e sicura di sé, capace di mettersi in gioco su piani differenti dal semplice ballo, con Guy Gerber o gli Underground Anthems della Sistrum Rec, e ora è il momento di confermare definitivamente questa svolta.
E’ senz’altro questa possibile “sterzata” a destabilizzare gli addetti ai lavori, un impasto di timbri e modulazioni jazzy da schianto, fusioni improvvise di vocoder, drum machine semianalogiche, moog d’annata, schegge rhodes quantizzate e trasferite in un coagulo di progressioni detroitiane.
I tre si rincorrono senza soste, seguendo a turno diverse tonalità, come nell’inquieta “Slap The Back” e nella concitata “Change Your Apesuit” , o intrecciando le proprie attitudini dreamy, senza disperdere mai più di tanto il calore delle proprie ambientazioni, vedi la title track: sorta di breakdance favolistica, capace di scollarti dal suolo nei suoi sei minuti d’astrazione lounge.
Smaniosi e petulanti, assennati e distesi, un occhio sul laptop e l’altro sul synth, i Cobblestone Jazz scandiscono il proprio modus operandi nella maestosa “Saturday Night”: l’estetica techno rivoltata e riabbozzata con l’astuzia del jazzista, reinventata attraverso lo sfarfallio alieno di voci dilatate al vocoder e frattaglie analogiche.
Se poi viriamo la nostra attenzione nel recente passato del trio, inserendo nel lettore l’altro regalino, non possiamo che confermare l’originalità di questa ricerca. Il Live al Mondo di Madrid arricchisce, perché in esso fuoriesce, senza remore, tutta l'improvvisazione armonica di Tygher Dhula, l’esplosione vintage di Danuel Tate, avvolte ad hoc dal genio di Jonson.
Le voragini funk di “India In Me” e il crescendo geometrico di “Dump Truck” sono “solo” la classica ciliegina sulla torta, che a questo punto avrete ben capito di quali gustosi ingredienti è composta.
“23 Seconds” inaugura nuovi percorsi per il movimento techno, percorrerli significherebbe dar vita a tutta una serie di inconsuete, possibili divagazioni elettroniche, tese, se non altro, a rivitalizzare quel groove che per anni ha eccitato, e continua a sconvolgere i nostri sensi.
30/11/2007
CD1:
CD2: