Il successo è un animale strano e sfuggevole. A volte arriva per strade traverse. E, altrettanto spesso, per le stesse strade si può allontanare.
Prendiamo come esempio gli Shins: due album ben fatti, un discreto seguito nel circuito indie e, poi, improvvisamente, grazie all’inserimento di un paio di brani del primo album (“Oh Inverted World”) nella colonna sonora di un film di grosso richiamo tra il pubblico dei college (“Garden State”, con la star di “Scrubs” Zach Braff), arriva il Successo, quello con la “S” maiuscola. Quello che ti spalanca le porte di Mtv e delle copertine delle riviste più trendy (è accaduto addirittura in Italia!).
Ma come tutti gli animali, anche il successo può essere pericoloso ed infido. Ed è questo il motivo per il quale molti (addetti ai lavori e semplici appassionati) aspettavano gli Shins alla prova del terzo “difficile” album, il primo da quando sono assurti allo status di eroi delle college radio americane.
A questo passaggio fondamentale per la sua carriera il gruppo di James Mercer sì è presentato agguerritissimo, con un budget molto più elevato del solito ed un produttore di richiamo dietro la consolle (Joe Chiccarelli, già ingegnere del suono di U2, Beck e American Music Club, ma anche con Elton John e Bon Jovi). Per fugare ogni dubbio diciamo immediatamente che “Wincing The Night Away” supera l’esame in scioltezza, senza però destare gli entusiasmi che ci si sarebbe potuti aspettare da una band fino ad oggi in costante crescita creativa.
Il problema di fondo dei precedenti album degli Shins era stato quello di suonare troppo “indie”, di essere troppo semplici, senza pretese e, per qualcuno, di conseguenza, alla lunga noiosi, poco avventurosi. Ma questa, probabilmente era anche la loro forza. Quando si metteva sul piatto (pardon, nel lettore) un disco degli Shins si sapeva già cosa aspettarsi: melodie, chitarre, pop cristallino e un po’ di sana ironia.
Il nuovo album, probabilmente anche per una precisa volontà del leader indiscusso James Mercer, invece, lascia, seppur a tratti, leggermente spiazzati, e solo dove le canzoni si fanno più semplici e le melodie più cristalline ci si sente veramente a proprio agio. È il caso del secondo brano della scaletta, “Australia”, cantata splendidamente da Mercer, con un discreto banjo a punteggiare la melodia, del primo singolo “Phantom Limb”, nel quale una soave armonia vocale penetra subitanea nel cervello e rimane impigliata nei suoi gangli a lungo, o di “Turn On Me”, magari non indimenticabile, ma sicuramente piacevole e in purissimo stile Shins. Accade, infine, anche in “Girl Sailor”, che, messa lì, quasi alla fine dell’album, senza distaccarsi affatto dal classico suono oramai divenuto tipico della band di Portland, si erge ad uno dei capitoli meglio riusciti della loro discografia e rivaleggia con i loro brani più famosi, quali “New Slang” o “Kissing The Lipless”.
Sono, invece, i brani più “sperimentali” (per quanto il termine sperimentale possa essere usato in un contesto squisitamente pop) a destare qualche perplessità: l’introduttiva “Sleeping Lessons”, con il suo esordio a tutto synth, “Sea Legs” con una batteria elettronica piuttosto monotona ed un’eccessiva presenza di perniciose tastierine, così “cheesy” ed anni ’70 da soffocare la melodia, peraltro neanche troppo adatta alle corde della band. Oppure “Split Needles”, che risulta troppo pensata, troppo studiata, sovraccarica com’è di suoni sintetizzati, che sembra siano stati inseriti di proposito per rendere “diversa” una canzone che, altrimenti, con la semplice melodia che la caratterizza, sarebbe potuta essere uno dei punti di forza dell’album. In quest’ambito l’unica eccezione è senza dubbio “Red Rabbits”, il cui arrangiamento orchestrale ed il cui incedere gentile e malinconico, la elevano ben al di sopra delle sue compagne “sperimentali”. Per fortuna si chiude in bellezza con la delicata ballata orchestrale “A Comet Appears” che sembra essere scritta apposta per la colonna sonora di una commedia romantica. E tutto fa pensare che ciò possa accadere, prima o poi.
In definitiva, comunque, “Wincing The Night Away”, lungi dall’essere un passo falso da parte di James Mercer e soci, è un album pieno di buone melodie e canzoni che probabilmente faranno felici i fans degli Shins e guadagneranno loro un pubblico ancora più vasto. Rimane, però, è doveroso segnalarlo, il dubbio che i nostri, per poter tenere al guinzaglio quell’animale di cui si parlava nel paragrafo introduttivo, saranno costretti, per non soffocare l’eleganza cristallina della scrittura del loro leader, a non osare mai troppo e a non allontanarsi mai decisamente dal sentiero già segnato.
02/02/2007