Tiny Vipers

Hands Across The Void

2007 (Sub Pop)
songwriter, alt-folk

Jesy Fortino è una cantautrice di Seattle alle prese con le ormai tipiche registrazioni casalinghe per acustica e voce. La solita Sub Pop fiuta l’affare: amplificare la carica solenne e sonnolenta (folkish) di quelle canzoni totalmente ignare di qualsiasi leggerezza d’ascolto, commerciabilità, o feeling radiofonico. Ogni brano di “Hands Across The Void”, suo primo album a nome Tiny Vipers, porta con sé anzitutto un potente sentimento di rassegnazione. E’ questo sentimento a farsi carico d’incroci di voci a cappella, linee vocali ultra-dimesse e infinite collane di arpeggi monoaccordo.

“Shipwreck” è una canzone in modo maggiore (quasi un madrigale), adornata da contrappunti solenni di fiati e legni scuri, che via via muta in ninna-nanna arcaica degna della Newsom di “Ys”, quindi in invocazione ondulante sulla base di un arpeggio catalettico instancabile. “Forest On Fire” è un salmo catatonico basato su un canto estatico, su cui s’innesta un crescendo impressionante di distorsioni e feedback cacofonici lancinanti e inestricabili, su drone grave (qualcosa di molto affine alla title track di “School Of The Flower” di Six Organs Of Admittance), che giunge dalle parti del mantra tibetano, metafora e simbolo dell’ardere interiore.

In “Campfire Resemblance” lo stesso canto mantrico-liturgico è infiorettato di dissonanze digitali alla Keith Fullerton Whitman, mentre “On This Side” - la più convenzionale - propone un tempo scaltro e scanzonato (ma pur sempre agrodolce e spezzato). “Swastika”, la più lunga e complessa, inizia da accordi severi in riverbero accentuato, e in dialogo tanto col silenzio (e una specie d’ovatta scura che sorregge l’intero brano), con un arpeggio dolente e una nuova serie di mottetti solistici-corali. Nella seconda parte, maggiormente orchestrata e più musicale, si fanno largo strofe corali in versi liberi (per poi tornare all’enigma degli accordi solitari). La conclusione (“The Downward”) è ancor più mistica e misteriosa; da una lunga intro strumentale (un andamento folk di nuovo fratturato e doloroso) si passa all’entrata della voce risoluta e essenziale, a rarefazioni voce-chitarra, fino a evaporare in un soffusissimo drone oscuro, al limite del dark-ambient, a metà via tra l’ultima esalazione delle anime dei folksinger e la conclusione di “Mulholland Drive”.

Più che una raccolta di canzoni, quest’album sembra un imperfetto riassunto di tecniche e appunti sentimentali (Bailiff, la già citata Newsom, Marshall, Dalton, Fursaxa, Nadler, O’Neil, Bunyan, persino la cantantessa dei Cranberries, Dolores O’Riordan, e quella dei Joy Of Cooking, Terry GarthWaite). Lavorando, come ha lavorato la Fortino, per stilizzazione estatica, si arriva al già noto quid della nuda introspezione, centellinata fino al decibel. Non esattamente un valore aggiunto (che, fatto opportunamente lievitare, condurrebbe a una specie di manifesto artistico), è però una messa in piega di un lavorio creativo arguto e appassionato sulla e per la scrittura, a sua volta cocciuta, pensante, fragile ma sostenuta. La combustione finale di “Forest On Fire” entra nella migliore galleria weird-folk d’ogni tempo; riusciti molti spezzoni vocali-strumentali, con una chitarra acustica seriamente inesorabile. Via MySpace è disponibile un brano inedito (pregresso), “They Might Follow You”.

30/08/2007

Tracklist

  1. Campfire Resemblance
  2. On This Side
  3. Aron
  4. Forest On Fire
  5. Shipwreck
  6. Swastika
  7. The Downward

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