Marco Bernacchia, già titolare e ideatore dei M.A.Z.C.A. (e dei personali Al:Arm!, Gallina e Magnetostok), dà vita al progetto Above The Tree già nel 2002 grazie alla cassetta autoprodotta “Swiss Music”, 50 minuti di lo-fi cervellotico infarcito di collage, campioni, droni electro-noise e suoni trovati (assieme a perfette puntate neo-classiche, ambient raffinati, stornelli psichedelici, tsunami di rumore devastante). Ma è solo con “Blue Revenge” che questo personale impasto impressionista di voce e chitarra trova la giusta linfa vitale. “Blue Revenge” assomiglia a una sorta d’incrocio tra una meditazione rurale, una tregenda sospesa di Gordon Mumma e una favola postmoderna di Italo Calvino.
“Waitin’s Song” è uno dei suoi brani manifesto, con loop in gorgoglio, elettrificazione raga-rock e cantilena bislacca tanto mostruosa quanto ubriaca, che quindi svolta a tremebondo piglio hard-rock sfigurato a esperimento da laboratorio (e infine tremenda ninna-nanna). Persino il pensoso passo hare krishna di “Disconnected Head 2” è deturpato da microfonie disorientanti (industriali, percussive) e da volanti cacofonie vocali. Parvenze di Six Organs Of Admittance emergono in “News From The End”, un riff folk-blues a mo’ di ballata maciullato da sibili e campioni crocchianti, e echi di Syd Barrett emergono negli accordi diamantini e nei glissando estatico-ambientali di “In The Middle Of None”, con i rumori che finalmente convergono a battere un tempo stomp-blues.
Ma il meglio di sé Bernacchia lo dà in “One Day In Reverse”, bell’arpeggio con brezze di accordion e droni elettronici, canto pacato e crescendo finale caotico. Nuovi incubi acustici riguardano “Error”, a partire da voce filtrata ronzante e riff blues alla Robert Johnson, presto sconvolto da ogni sorta d’interferenze digitali (effetti giocattolo, piffero, dissonanze assortite tra cui quella di un telefono cellulare) e infine ispessito da un ordinato glockenspiel. E ancora “Emigrated Heaven”, il canovaccio più complesso: un rozzo battito tribale Idm che ospita via via declamazioni blues, tremori gravi e un crescendo che conduce a un’oasi dissonante di fiati e elettronica. Così “Future World”, puro ambience silente atonale con innodia di kazoo, e “30% Of Love”, un sustain di trilli elettronici su strimpellio minimalista e refrain folk ossessivo, e una stratificazione di atmosfere magiche degne degli Animal Collective.
Album di folktronica selvatica che implementa in sé diverse essenze dell’essere musicale, da quella istintuale a quella esemplificativa, con il canto limitato a pochi motti inintelligibili, è una brillante lezione di composizione confidenziale, al di fuori dell’esistenza. Non pienamente convinto in talune tracce, ma sempre coerente. Già in circolo da metà 2007, senza pubblicazione causa sciagurata lacuna discografica
08/10/2008