Questo ultimo lavoro segue il predecessore “A Singsong And A Scrap” (2005) sulla via di un folk dalle spiccate venature pop: atmosfere bucoliche, accordi eterei di acustiche e organetti, echi di bande paesane, la perfezione sbalorditiva del canto a cappella si accompagnano a testi al vetriolo contro l’ottusità, l’intolleranza, l’istupidimento indotto dai media, e altre meraviglie moderne. Lo stesso titolo, che con i suoi caratteri circensi occupa l’intero spazio della copertina, è un lungo e accorato appello all’autenticità nel fare musica: non lasciamo che le boy band l’abbiano vinta!
Il disco conta 25 brani, alcuni dei quali non sono che piccoli haiku musicali della durata di pochi secondi, come l’iniziale “When An Old Man Dies” o l’incantevole “You Watched Me Dance”: perfetti incastri vocali sopra un bordone di cornamusa, con il campionamento di un vecchio piano sullo sfondo, e in chiusura un malinconico valzer stradaiolo di fisarmonica. Una raffinata ricerca del dettaglio sonoro che si chiude in un minuto esatto.
Ogni brano è una storia da raccontare. I Chumbawamba si divertono a omaggiare le tradizionali figure del folk britannico (“Lord Bateman’s Motorbike”); se la prendono con Lord Bono e con il Manchester United (“All Fur Coat & No Knickers”); fanno un ritratto di Wenseslao Moguel, che andò alla fucilazione e sopravvisse per raccontarlo (“El Fusilado”); riportano fatti di cronaca e di ordinaria ingiustizia (“Waiting For The Bus”). C’è spazio anche per una satira feroce dei social network e dello scenario umano talvolta aberrante che offrono (“Add me”).
Numerose le partecipazioni dalla scena inglese più smaccatamente orientata al sociale (la Oysterband in “Hull or Hell”; Ron Bailey in “Word Bomber”). E proprio nel messaggio, nel parlare a lettere chiare e grandi, nel non rinunciare alla protesta in un momento in cui va così poco di moda, sta la forza e la ragion d’essere dei veterani Chumbawamba. Il sostenersi a forme musicali tradizionali è una scelta coerente, ma non sempre l’aggressività dei testi si sposa alla perfezione con le forme vellutate della ballata. La ricerca del sublime nelle armonie come nel trattamento del suono finisce per far perdere un po’ di smalto a questi inni ostinati e dissenzienti; talvolta una patina gelida scende sulle parole altrimenti infuocate dei nostri. E’ triste dirlo, ma la musica dei Chumbawamba rischia di essere troppo “di qualità” per essere davvero convincente.
(03/04/2009)