Di nuove band, dal Regno Unito, ne escono talmente tante che non ci si fa più caso (anche perché il più delle volte la qualità latita vistosamente). Quindi, perché degnare di attenzione gli ennesimi cinque giovani che finiscono sull'Nme? Perché continuare a sperare che, finalmente, questi siano diversi?
Proverò a spiegarvi perché i Foals, da Oxford (ma con base a Brighton), meritano qualcos(in)a in più. Innanzitutto perché sono una band che dal vivo impressiona per potenza, per compattezza, per il feeling che i cinque instaurano tra loro e tra il palco e il pubblico: non è poco, vista l'inconsistenza live di band di punta del genere tipo Bloc Party, per fare un esempio.
Poi perché di inglesi che provano a fare i Battles ("The French Open") non se ne erano sentiti tanti; e a scimmiottare in chiave pop una band originale come i Battles rischi di fare una figura magra, cosa che i nostri evitano di un niente risultando, comunque, un po' ingenui e dozzinali.
Ascolti un disco così e ti chiedi perché un personaggio del calibro di David "Das" Sytek, mente, chitarrista e produttore dei Tv On The Radio, si sia scomodato per produrli: ti rispondi che a volte la vita è strana, non che è la solita marchetta di un produttore in voga in cerca di soldi facili.
Perché? Perché "Antidotes" non è un disco brutto, o indecente, o inutile. Molto semplicemente, è un disco di debutto di cinque ragazzi che si sono visti puntare addosso le luci dei riflettori. È un disco da cui emerge una perizia tecnica sopra la media e un non eccedere nel farne mostra decisamente sapiente. Un disco in cui si gira attorno allo stesso giochino per quarantasette minuti ma con almeno tre-quattro momenti intensi. Belli, ma non bellissimi. Potenti e discretamente urgenti. È un tentativo di far ballare senza dover ricorrere all'elettronica, di fare (math) rock mettendo la sezione ritmica su un piedistallo, lasciando le chitarre a colorare gli angoli e non a rubare la scena al resto.
La mano di Sytek si sente soprattutto nei pezzi dotati di maggiore pathos, dove i crescendo di synth e rumore invadono le distanze che stanno tra chitarre, batteria e basso: "Red Socks Pugie" e "Olympic Airways" sono due ottimi esempi. La prima è potente ed epica, la seconda più riflessiva e sofferta.
Insomma, qualche momento pregevole c'è, anche se delle voci meno monotone non ci sarebbero affatto dispiaciute (i due singoli "Cassius" e "Balloons" evidenziano la poca varietà delle scelte del cantante Yannis Philippakis), così come delle canzoni più solide e meno derivative: se l'obiettivo dei Foals è fare della pop-music, bisogna che capiscano dove sta il punto da raggiungere in quei tre-quattro minuti di ogni brano.
I mezzi ci sono, il tempo pure. Aspettiamo.
27/03/2008