Il terzetto italo-francese è al sesto album; un lavoro affascinante, maturo e spiazzante. Noise-rock monolitico e suoni mediterranei si incontrano in un'apocalisse al confine tra due mondi: il grigiore metropolitano di Bästard e Ulan Bator e il misticismo antico della musica nordafricana.
Niente a che vedere col turismo musicale più becero: l'iniziale "Otranto" chiarisce da subito che "Trapani-Halq al Waady" affianca oud e sciabolate elettriche, forme tradizionali e spleen contemporaneo in un sound lucido, coeso e lontano dal terzomondismo.
Ieratica, Chiara Locardi declama versi torvi e disincantati sugli 11/8 di "Ras et Ahmar"; chitarre laceranti e vapori esotici avvolgono un racconto di galee e kalashnikov a cavallo fra tempi e luoghi. La frontiera, il fascino atavico del remoto (Buzzati, Borges, Calvino): elementi cardine dell'immaginario Enfance Rouge, non sono mai stati evocativi e tangibili quanto negli arabeschi flautistici di "Ana Lastu Amrikyyan", martoriati di colate noise, o nei contorcimenti vocali che chiudono "Hurricane Lily".
Quando è François Cambuzat a prendere il microfono, i toni si fanno ancora più torpidi. "Tombeau pour New York" opprime, soffoca: clangori, incedere marziale e un basso pachidermico la cui tensione letargica pervade l'intero album. Poca, pochissima la luce: in qualche anfratto, Pink Floyd e Godspeed You Black Emperor! prendono il sopravvento sui numi tutelari Slint e Massimo Volume, ma è una fiamma moribonda quella che riscalda la placidità tunisina di "Vendicatori" o "Petite-mort".
Cinico, graffiante, eppure denso di passione, sensibilità, poesia, "Trapani-Halq al Waady" è più che un disco una città, una porta tra continenti. Unica, in tutti i suoi contrasti e chiaroscuri.
(29/10/2008)