Un tuffo nel passato, lo sguardo proiettato verso il futuro. Una sintesi, un gioco di specchi, un prendere di petto il tempo che passa.
Non esaltante (e nemmeno "disturbante") come una volta, ma pur sempre fresco e bruciante. Ma è da qui, dai caleidoscopi tutto groove e febbre di "Edit", che si potrebbe andare a ritroso, verso le sorgenti di quel funk primitivista, decostruito e scagliato contro pareti verticali di dub futurista, per merito del quale le metropoli di fine millennio sembravano scenari post-apocalisse fatti di mutanti col cuore in fiamme.
Un funk che, scolpito dentro il marmo del post-moderno, esalta la sua matrice "bianca" per il tramite della cara, immarcescibile old-skool ("Rise Again"), assaggia i Tackhead da una prospettiva tecnologicamente sbilanciata ("Loner"), fino a pulsare dilatato e fuligginoso nel crogiolo mefistofelico di "The Puppet Master", tutta una tavolozza sensuale di voci che trafiggono lo schermo, movenze estatiche e On-U Sound al cubo.
Il precipizio del passato è, insomma, spalancato. Sporgersi verso l'abisso sarà un gioco da ragazzi, soprattutto se si ha il buon gusto di non chiedere più di quanto Mark ha deciso di offrirci: una funambolica rimpatriata, dall'alto della sua indiscussa esperienza. Ed ecco allora che, se il Maffia-style rivive nelle atmosfere etno di "Strange Cargo" e il Pop Group viene catapultato verso lande acid-industrial, in un circolo vizioso di intellettualismo ballabile ("Freak Circus"), il tempo che fu merita un gioco a due voci (courtesy of Ari Up delle Slits) sul corpo devastato della Yardbirds-iana "Mr. You're A Better Man Than I".
Tutto il mondo musicale (si contano, tra le altre, anche tracce di techno e hard-soul, rispettivamente in "Almost Human" e "Secret Suburbia") di un grande artista: frullato, ingoiato e rivomitato in poco più di quaranta minuti.
Bentornato, Mark!
14/05/2008