Travis

Ode To J. Smith

2008 (Red Telephone Box)
britpop
5.5

I Travis sono sempre stati degli outsider del rock d’oltremanica. Un po’ perché sono arrivati tardi alla consacrazione e i tempi hanno concesso poco, un po’ perché oscurati da chi il britpop lo ha inventato e lo domina da sempre; ma anche perché i loro primi dischi (“The Man Who” soprattutto, ma anche “The Invisibile Band”) lasciavano intendere qualcosa di più del rock oasisiano, mostrando anche e soprattutto un lato malinconico e più marcatamente pop che tradiva le origine scozzesi del gruppo (Belle & Sebastian docent).

Successivamente il quartetto di Glasgow ha dato dei segni di cedimento. Prima con “12 Memories”, che provava a calcare la mano sul lato socio-politico (!) della loro musica con risultati piuttosto deludenti. Poi tirando i remi in barca con “The Boy With No Name”, dove gli scozzesi capitanati da Francis "Fran" Healy tornavano cautamente sui propri passi e sfornavano un disco scialbo, senza troppo mordente e peraltro vicino all’autoplagio. A solo un anno di distanza ci riprovano con “Ode To J. Smith”, un disco che da una parte mostra una voglia di cambiamento verso nuove soluzioni musicali, da un’altra stenta ad allontanarsi dalla tipica struttra (ab)usata dalla band.

Quando parte l’attacco di “Chinese Blues”, la prima reazione è stupore immediato: riff di chitarra elettrica vagamente younghiano, sostenuto dal piano e dal basso centralissimo. Stupisce ancora di più l’effetto che fa la voce di Healy su un pattern così distante dalla tradizione del gruppo, lo stesso che potrebbe suscitare quella di Chris Martin su un pezzo degli Oasis.
Più scorrono le tracce, più appare evidente la svolta presa dalla band: al centro di tutto c’è la chitarra, non più soffice e semi-acustica, ma aggressiva ed elettrica. Si prendano pezzi come il primo singolo “Something Anything”, con il suo riff sincopato e corposo. Oppure “Long Way Down” e il suo incedere ancora da fratelli Gallagher; oppure ancora l’epica e pomposa “J.Smith”, con un finale roboante.

Da metà disco in poi, invece, il combo di Glasgow sembra dire: “No, noi non ci vogliamo sbilanciare così tanto, cerchiamo di darci una regolata”, e il disco scema inesorabilmente. Gli ultimi pezzi (“Song To Self”, “Last Words”, “Friends”) sono semplicemente la solita minestrina da pop britannico/scozzese riscaldata per l’occasione. Senza mordente, senza presa, senza alcuna possibilità di colpire nel profondo. Fa eccezione “Before You Were Young”, un pop edulcorato da un piano classicissimo, ma che sa toccare le corde giuste, grazie ad arrangiamenti orchestrali un po’ azzardati ma efficaci.

Quello che potrebbe essere un disco di svolta per i Travis si dimostra invece un esperimento riuscito male, un disco strambo e freak che tenta di fare un passo avanti e uno indietro, finendo inevitabilmente per cadere nella banalità.
Con alle spalle lavori non eccelsi ma anche dischi discretamente buoni, “Ode To J. Smith” rappresenta per la band un punto di non ritorno, un momento in cui riflettere sulle strade percorse e quelle da percorrere. Perché, tra le tante cose che mancano a questo disco, si fa sentire soprattutto l’assenza di un pezzo cardine, di un singolo efficace e convincente: una cosa che ai Travis non è mai mancata.

03/10/2008

Tracklist

  1. Chinese Blues
  2. J. Smith
  3. Something Anything
  4. Long Way Down
  5. Broken Mirror
  6. Last Words
  7. Quite Free
  8. Get Up
  9. Friends
  10. Song To Self
  11. Before You were Young

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