Quelle canzoni che basta un ascolto. Un ascolto solo, e son già stampate nella memoria: ti ritrovi a canticchiarle sotto la doccia, a fischiettarle quando meno te le aspetti. Sono l'essenza del pop, no?
Bello, quando se ne trovano. Ma bello anche quando non se ne trovano. Quando un pezzo affascina ma non si riesce a venirne a capo, se non dopo giorni (e giorni) di riascolti. Poi finalmente si svela e - magia delle magie - si scopre che è stupendo.
Questa è l'essenza del pop. A volte.
"No More Stories..." è una di quelle volte. Ci vuole pazienza anche solo per leggerne il titolo. Il singolo di lancio, "Introducing Palace Players", è un groviglio di chitarre math e terzine batteristiche scompigliate. Melodia celestiale, sia chiaro, ma certo non l'ABC dell'orecchiabilità.
Eppure... L'aria magica, paradisiaca; la voce cristallina e trasognata, che fa molto Jon Anderson. I continui slittamenti ritmici; quelle schiarite improvvise e a ciel sereno, che fanno molto Yes. Ascolto dopo ascolto, si rivela irresistibile.
Ruvidezza indie-rock e dolcezza dream-pop. Spigoli progressive e vortici shoegazer. Alchimie nuove, sulle prime un po' spaesanti. Ne scaturiscono i mondi fantastici di "Repeaterbeater", "Cartoons and Macreme Wounds" (tortuosissima!), "Vaccine". Quello di "Hawaii" è un incanto di scampanellii e fughe vocali, e sfiora il pop corale di Anathallo e The Most Serene Republic.
Le melodie sono perfette. "Beach", condita di cassa dritta, sarebbe una hit istantanea. Con grande coraggio, invece, predomina la fantasia ritmica: un misto astruso di battere e levare, coi colpi di cassa in controfase ai piatti, al basso, a tutto il resto. Ci mette un po' a convincere, ma poi diventa chiaro: avrebbe potuto essere una bella canzone, ma così è nettamente oltre.
Le architetture poliritmiche, prodigio di leggerezza e complessità, sono una costante del disco. In "Tricks Of The Trade" spiccano il volo, e i synth le avvolgono in un una nuvola elettro-pop. Densa ed eterea al tempo stesso, lascia una rugiada delicata - sotto forma di phasing pianistico.
Un peccato perdersi queste meraviglie, solo per la fretta di passare ad altro...
I Mew, danesi, sono una celebrità locale. Questo quinto album, però, è stato notato anche in America. Il lavoro precedente è "And the Glass Handed Kites", del 2005. Più diretto, ma anche un po' meno raffinato, è comunque un altro disco da avere.
06/10/2009