Ora però, alla luce di questo "Little Moon", sesto album in proprio, sembra assurdo non tributare al cantautore californiano i frutti del proprio lavoro lontano dalla sua ex-band più famosa; una carriera sempre più che dignitosa, di cui questo ultimo disco è forse il miglior tassello.
C'è tanto country nella musica di Grant Lee, miscelato rock in maniera Uncle Tupelo ("Stranger Thing"), più morbidamente pop à-la Wilco ("Seal It With A Kiss") o in un più classico folk ("One Morning") magari tra malinconie di violini con un pensiero a Townes Van Zandt ("Buried Treasure").
Non che osi molto, il Nostro, ma si distacca dalla monotonia che avvolge sovente alcuni colleghi grazie a momenti solari e ritmati ("Good Morning Happiness"), orchestrazioni swing-cabaret (The Sun Shine On Jupiter") o impreziosite da fiati ("It Ain't The Same").
Certo non mancano le solite ballate, per acustica e piano ("Nightbirds", "Violet") ma anche in umore jazz (la title track) e immerse in dispieghi di archi ("Blind Tom"), perfetto compendio a completare questo "Little Moon", onestissimo e pregevole album di songwriting americano.
Definitivamente emancipato dalla pesante eredità del suo ex-gruppo, Grant-Lee Phillips piazza il suo miglior colpo da solista, dimostrando di meritare, anche nel suo viaggio solitario, rispetto e ammirazione.
(19/02/2010)