Difficile parlare di Grant Lee Phillips senza parlare dei Grant Lee Buffalo, gruppo che segnò gli anni 90 con due dischi eccellenti come "Fuzzy" e "Mighty Joe Moon", splendida meteora in cui si riposero speranze la cui fine prematura perseguita spesso ancora oggi il leader nei giudizi sulla propria, attuale, carriera di solista.
Ora però, alla luce di questo "Little Moon", sesto album in proprio, sembra assurdo non tributare al cantautore californiano i frutti del proprio lavoro lontano dalla sua ex-band più famosa; una carriera sempre più che dignitosa, di cui questo ultimo disco è forse il miglior tassello.
C'è tanto country nella musica di Grant Lee, miscelato rock in maniera Uncle Tupelo ("Stranger Thing"), più morbidamente pop à-la Wilco ("Seal It With A Kiss") o in un più classico folk ("One Morning") magari tra malinconie di violini con un pensiero a Townes Van Zandt ("Buried Treasure").
Non che osi molto, il Nostro, ma si distacca dalla monotonia che avvolge sovente alcuni colleghi grazie a momenti solari e ritmati ("Good Morning Happiness"), orchestrazioni swing-cabaret (The Sun Shine On Jupiter") o impreziosite da fiati ("It Ain't The Same").
Certo non mancano le solite ballate, per acustica e piano ("Nightbirds", "Violet") ma anche in umore jazz (la title track) e immerse in dispieghi di archi ("Blind Tom"), perfetto compendio a completare questo "Little Moon", onestissimo e pregevole album di songwriting americano.
Definitivamente emancipato dalla pesante eredità del suo ex-gruppo, Grant-Lee Phillips piazza il suo miglior colpo da solista, dimostrando di meritare, anche nel suo viaggio solitario, rispetto e ammirazione.
19/02/2010