L’album d’esordio di Scott Matthews (“Passing Stranger”) non è stato un fulmine a ciel sereno. Il trentenne di Wolverhampton ha dovuto superare molte pregiudiziali prima di essere acclamato dalla critica.
Non gioca a suo favore il tono vocale alla Jeff Buckley, inoltre la sua musica è permeata da un pessimismo privo della rabbia giovanile, e poi la quasi omonimia col più acclamato Scott Matthew induce a un non favorevole paragone col più celebrato cantautore australiano.
Scott Matthews col nuovo album “Elsewhere” rischia di deludere ancora una volta parte della critica: non sembra voler concedere squarci all’ascoltatore casuale per entrare nel suo mondo musicale, le canzoni sono prive di leggerezza, sono arcane folk song indurite da soluzioni colte.
Non è l’album-chiave della sua carriera, “Elsewhere”, Scott prova a varcare i confini del cantautorato celebrando il rock anni 70, l’ammirazione e la stima di Robert Plant si tramuta in una collaborazione vivace che sposta ancora di più il sound verso i Led Zeppelin di "III", ma è la voce il fulcro emotivo dell’album, uno strumento che si agita e si contorce su note musicali estremamente ricche e lontane dalla semplicità, a volte forzata, dei nuovi songwriter.
Sembra che le canzoni non posseggano carattere e lirismo: solo un ascolto attento permette di entrare in relazione con il patrimonio armonico di “Elsewhere”. Se dovessi citare un album di riferimento, penserei stranamente a “Blue” di Joni Mitchell per la sua complessa architettura armonica che mentre sembra librarsi in volo, viene sradicata dalla tristezza.
Orchestrazioni robuste, una ricca e variegata strumentazione elettro-acustico danno tono e pochi colori alla musica di Scott Matthews, scelta già dichiarata nella splendida cover, l’uomo che si inoltra nel temporale non sembra destinato a una sorte benevola, la vulnerabilità che traspare non lascia dubbi, l’uomo della copertina sta affrontando un viaggio verso il nulla.
Purtroppo l’estremo pessimismo rende il tutto poco agreable per il pubblico moderno, ma le canzoni di “Elsewhere” meritano ascolto, a partire dall’ottima collaborazione con Robert Plant in “12 Harp”, una ballata intensa ed evocativa, uno dei momenti più leggiadri dell’album, dove il lirismo di Scott viene fuori prepotentemente.
Il singolo “Fractured” è uno dei brani che cattura subito l’ascolto, insieme ai momenti più delicati, come “Jagged Melody” e “Elsewhere”.
Ma, come in “Passing Stranger” c’è un fulcro emotivo, la “Elusive” di questo secondo album si chiama “Fades In Vain": armonie fluide, dense di poesia, sequenze liriche intense e poco prevedibili si susseguono nel piccolo capolavoro di songwriting che eleva il livello dell'opera.
Resta presente il tono greve di alcuni arrangiamenti, che rendono a volte un po’ faticoso l’ascolto: l’iniziale “Underlying Lies” soffre un po’ gli eccessi orchestrali, “Suddenly You Figure Out” resta imbrigliata dall’enfasi e da alcune forzature lirche, e la più robusta "Into The Firing Line" non offre nulla di memorabile.
Scott Matthews è senz’altro uno dei compositori migliori degli ultimi anni, lo dimostra nella bluesy "Speeding Slowly", intrecciata su eccelse linee di basso, violoncello e percussioni, anche "Up On The Hill" raccorda il lirismo con strutture rock solide e raffinate, e la conclusiva “Nothing's Quite Right Here” chiude con fragilità un album robusto e forse eccessivamente ricco.
Un passo avanti e uno indietro per Scott Matthews, cha anticipa il ricorso a soluzioni musicali più minimali per il prossimo capitolo. Forse dopo il bagno di gloria ed enfasi di “Elsewhere”, un po’ di semplicità darà forse il giusto equilibrio al suo prezioso talento.
30/07/2009