Una band formata da due uomini e una donna dai tratti somatici evidentemente orientali non può che far pensare a una clonazione dei Blonde Redhead. Il trio è americano, Thao Nguyen, voce, chitarra, compositrice e leader carismatica del gruppo ha origini vietnamite. Gli altri membri della band sono Adam Thompson al basso e Willis Thompson (i due non sono fratelli...) alla batteria: potremmo attenderci un meltin' pot assolutamente interessante.
Ma se poi mettiamo il dischetto nel lettore?
Thao With The Get Down Stay Down non hanno assolutamente nulla dello sperimentalismo dei Redhead, ma si occupano di un indie-pop venato di striature vagamente folky che potremmo considerare riuscito solo a tratti.
Per loro si tratta del quarto lavoro (tre album più un Ep d'esordio), edito come il precedente su etichetta Kill Rock Stars.
Dopo l'handclapping dell'iniziale "The Clap" (che fantasia...) la partenza non è affatto malvagia: "Cool Yourself" ha il giusto grado di obliquità per diventare un hit alternativo, con la voce di Thao, volutamente sgraziata, che va a posizionarsi in un ipotetico incrocio fra Cat Power e Feist.
Una innocua chitarrina contrappunta l'allegra ritmica, mentre piano, sassofono e tromba colorano e strutturano il suono.
E' vero che le band con una frontwoman hanno sempre qualche chance in più, e Thao le carte se le gioca bene, in questo caso non si riesce però a raggiungere quel livello di profondità che avrebbe fatto spiccare il volo all'intero disco.
Thao parla molto di amore nei propri testi e cerca di apparire moderatamente sensuale, le soluzioni risultano però sempre furbette e moderate.
Ma veniamo alla tracklist: occhio al violino di Andrew Bird che nobilita le dolci noti di "Know Better Learn Faster", uno dei momenti più riusciti del disco. Le dissonanze della successiva "Body" non sembrano invece così a fuoco, va molto meglio quando si punta verso atmosfere folky, come nel caso di "The Give" (con tanto di banjo e violino), o quasi jazzate, come per la coinvolgente "Oh No".
Per una "Trouble Was For" che funziona, troviamo altri episodi più debolucci ("Good Bye Good Luck", "Fixed It !") nei quali si sarebbe potuto lavorare di più, evitando l'effetto bubble gum da teenage college.
I risultati migliori si ottengono quando il lavoro è svolto per sottrazione puntando sul songwriting (la struggente "But What Of The Strangers"), va meno bene quando si bada soltanto a riempire gli spazi senza obiettivi chiari da raggiungere ("Burn You Up").
Alla fine tutti in pista a scuotersi sulle note della liberatoria "Easy", che vede in qualità di ospite Tune Yards, il musicista del New England che qualche mese fa ha debuttato su 4AD con l'apprezzato "Bird-Brains".
Fra i solchi del disco trovano spazio fra gli altri anche la tastierista dei Decemberists, Jenny Conlee, l'esperta cantante e chitarrista Laura Veirs, la vocalist alt-country Shelley Short, il sassofonista Steve Berlin (di casa in molti lavori importanti in ambito rock), il chitarrista slide Eric Earley.
La produzione è affidata a Tucker Martine, un curriculum con lavori a fianco di Mudhoney, Decemberists, Sufjan Stevens, Rem, la già citata Laura Veirs, e una nomination ai Grammy Awards 2007 per "Floratone" di Bill Frisell.
Cotanto dispiegamento di forze rende il tutto molto piacevole, resta però lo sgradevole retrogusto da prodotto "usa e getta" e la sensazione che stavolta si poteva fare davvero qualcosa di più.
15/01/2010