Ormai trascorse le celebrazioni conseguenti all’acclamato “Mirrored” del supergruppo Battles, il tuttofare elettronico Tyondai Braxton ritorna a bomba alla carriera solista con “Central Market”, di certo ora influenzato a pieno titolo dallo stesso combo di provenienza, dai suoi percorsi stralunati, massimalisti e spiraliformi tanto evidenti in brani come “Atlas”.
Così, il Braxton di “Central Market” si sente autorizzato a confezionare di tutto punto la sua commistione di snodi Stravinskji-Bartok, suoni extraterrestri e cartooneschi e stramberie minimaliste sinfoniche. La cosa funziona discretamente nell’ultraprog di “Uffe’s Wood Shop” e nel remix del primo Stravinskji (la “Sagra della primavera” e il "Chant Du Rossignol") di “Platinum Rows”, mentre perde colpi nel kazoo e nei suoni squittenti di “The Duck And The Butcher”, a due passi dal Zappa orchestrale meno felice, nell’"adagio" ambientale di “Unfurling” (infestato eccessivamente da eventi disgiunti) e nel finale esoso di “Dead Strings”.
“Opening Bell” è il brano più “colto” e “J. City” quello più rock (e cantato da Braxton in persona, senza alcun filtro né modulazione), un boogie deforme con sincopi a iosa e chitarra math, una stonatura di tracklist persino fastidiosa.
Braxton (figlio del grande Anthony), assieme a un pianoforte, una Wordless Music Orchestra e un manipolo di dispositivi elettronici, preparano un mix appetitoso ma al di fuori della ragionevole calibrazione, e con un senso di kitsch che s’impossessa di buona parte dell'udito. Non è il suo capolavoro, è il suo (terzo, escludendo la collaborazione con Jon Mathis e il progetto multimediale “N.E.A.R.”) più diseguale, indeciso tra divertimento fine a sé stesso e ambizione monumentale. Di “Platinum Rows” esiste un video, montato e postprodotto dallo stesso compositore.
26/09/2009