Quest'esordio
(il primo vero) solista di Avey Tare (co-leader degli Animal
Collective) sembra provenire da qualche luogo oscuro e sotterraneo o da una
qualche palude sommersa. Un horror lisergico, un trip claustrofobico che
galleggia tra gli abissi della mente.
C'è un
senso di negatività introversa, di oscurità enigmatica che pervade l'atmosfera
in "Down There", tra mondi sbiaditi e
un "laggiù" stipato nella psiche.
Il
magma pulsante di beat e synth stralunati da cui prende vita l'iniziale,
bellissima, "Laughing Hieroglyphic" è l'ideale benvenuto in questo mondo
ovattato e tenebroso. Le stratificazioni sonore come sempre geometriche e
psichedeliche fanno da tappeto al canto sofferto di Tare e a un melodismo
tragico e coinvolgente. "3 Umbrellas" è il classico pastiche saltellante e
brioso collectiviano, che varia il
tono e l'umore creato dall'incipit, ma non aggiunge nulla di nuovo a
quanto già ascoltato dal trio di Baltimora. Di ben altra pasta il groove divergente di "Oliver Twist",
mutevole nel suo continuo saliscendi di voci e suoni (quasi una sorta di
hip-hop su base techno) e i tribalismi ossessivi e primitivi di "Ghost Of Books".
L'intimismo cupo e atmosferico di "Cemeteries", una sorta di lamento distante
e ipnotico, fa calare nuovamente le tenebre più nere sul disco.
Il mood si fa
finanche più delirante e opprimente in "Heads Hammock", rendendo quasi
inintelligibili le parole, sempre più sommerse e capovolte in questo mare
sonoro turbolento. Apprezzabili le sperimentazioni e notevole il songwriting,
ma è fuor di dubbio che in questa parte centrale il pathos lasci spazio alla
noia, rendendo l'effetto fin troppo disorientante. È qui che Tare decide
nuovamente di emozionare, nella tenera e struggente melodia di "Heather In The
Hospital", dedicata alla sorella malata di cancro e al senso di malessere
interiore misto a smarrimento che nasce dalla consapevolezza rassegnata della
distruzione provocata dalla malattia. Un'emozione che illumina il buio, ma di
una luce fioca e sommessa. Il traguardo finale di questo intricato viaggio è "Lucky
1" con il suo andamento sempre sonnacchioso ma cangiante. Un modo per dire, hai
pianto, sei stato triste, ma in fondo anche tu sei fortunato.
E in qualche modo fortunato lo è
anche questo primo album solista di Avey Tare, anche se obiettivamente lo
poteva essere molto di più. Disco ambizioso dal punto di vista sonoro (in fondo
sono sempre gli Animal Collective solo in versione più dark e forse più
elettronica) e dal songwriting a tratti pregevole, tuttavia le atmosfere fin
troppo dilatate e ovattate qui ricercate, costituiscono allo stesso tempo la
croce e delizia di questo trip-noir talvolta suggestivo, talvolta affaticato e
sfibrante.
20/01/2011