Questa recensione sarà breve, dolorosamente breve. A due anni dal precedente "Rule Of Thirds", Douglas P. torna con un nuovo album; stavolta non è solo, ma ha affidato l'accompagnamento musicale a un pianista slovacco, Miro Snejdr, conosciuto su Internet tramite il newsgroup dei Death In June. Questi ha lavorato sulle partiture e le ha tradotte in un liquido mélange pianistico di impronta squisitamente romantica, sul quale poi Douglas ha inciso la sua voce, il suo canto, i suoi sofferti proclami sulla decadenza del mondo occidentale.
La novità potrebbe anche risultare stimolante, quantomeno dal punto di vista musicale, e un 7" uscito nei mesi scorsi per la Extremocidente ne mostrava i primi frutti, ovvero due brani, qui racchiusi, che colpivano per l'assenza della chitarra acustica, vera sua cifra stilistica. Ma se la prima canzone è piacevole, la seconda mostra un'inquietante monotonia, nella voce e nei toni musicali. E pure la terza, e così via. Il fatto è che di canzoni ce ne sono tredici, per quasi un'ora complessiva d'ascolto, ed è davvero arduo arrivare sino alla fine. A poco servono i campionamenti su voce e respiri che dovrebbero colorire i brani, né colpisce una maggiore articolazione vocale in alcuni pezzi, né tantomeno il sottofondo musicale, che manifesta la buona volontà dell'esecutore grazie anche a un certo talento, denotando però un suono talvolta scolastico e prevedibile, che in breve finisce per tediare.
Per giunta, vengono riproposti in un secondo cd compreso nella prima tiratura, "Lounge Corps", una serie di rivisitazioni, l'ennesima, di precedenti pezzi dei Death In June a opera dello stesso pianista, che non aggiungono nulla, ma proprio nulla a quanto detto/scritto ora e prima.
Questo album, così come il precedente - anzi si può dire come tutti quelli usciti il decennio scorso - è pertanto strettamente riservato ai soli cultori del gruppo, che certamente riusciranno a trarre piacere da queste tracce, in particolare da alcune, come "A Nausea" e "Neutralize Decay", che svettano certo limpide, ammantate come sono di indubbia bellezza. Per gli altri, così come rimarcato per il precedente "Rule Of Thirds", sarà meglio cercare i lavori dell'artista usciti negli 80 e 90, maggiormente compiuti e senz'altro più riusciti.
Se è un'idea invero romantica (...) quella di uccidere la creatura che si è fatto nascere - e ci riferisce al neofolk - una morte per lenta agonia è davvero quanto di più empio si possa immaginare. Douglas P. dovrebbe riflettere seriamente sulle sorti del suo alter-ego musicale, se vuole evitare di restare intrappolato in questo buco nero solipsistico che ormai non concede nulla a chicchessia, neanche ai suoi sostenitori più convinti.
18/12/2010