I riformati Kula Shaker continuano a rinverdire con buoni risultati i fasti della loro seconda vita musicale, grazie a un nuovo album che prosegue il discorso inaugurato dal precedente e moderatamente fortunato “Strangefolk”, apprezzabile lavoro che ha avuto se non altro il merito di riportare la band di Crispian Mills all’attenzione di un pubblico più giovane e incuriosito. Registrato in completa libertà nel proprio studio privato, accuratamente nascosto tra le mistiche selve del Belgio, risuonanti di fiabe mitiche e remote leggende popolari, “Pilgrims Progress” riattiva il polveroso carosello psych-folk caro alla band, impregnato di salmodianti visioni merseybeat e litanie spiritualiste che tendono però nelle nuove composizioni ad abbandonare le trascorse (e famigerate) infatuazioni orientali (non sempre improntate a una credibile sobrietà stilistica, questo va detto...) in favore di un misticismo canoro dal profilo più celtico-continentale.
La qualità esecutiva della band al solito non si discute, così come il gusto e la competenza compositiva che essa riversa nella costruzione dei singoli brani, sempre eleganti e formalmente impeccabili nel loro rivisitare con puntiglio a tratti quasi maniacale il patrimonio di sonorità genuinamente sixties di band come Pink Floyd, Grateful Dead, Traffic, Hawkwind, Iron Butterfly, Moody Blues o Incredible String Band.
I nuovi pezzi a ben vedere tradiscono per lo più insistite velleità prog-folk pastorali che a tratti fanno quasi venire in mente certi Jetro Tull, soprattutto in un lungo pezzo come “Winters Call” o in “Ruby” e “Peter Pan RIP”, edificate su fraseggi acustici molto ma molto felici per quanto scarsamente originali.
Tuttavia anche l’imitazione è un’arte, in quanto, a differenza della semplice copia, essa richiede oltre alla meccanica applicazione di una tecnica schematica anche e soprattutto l’esercizio spassionato di un sincero atto d’amore e i Kula Shaker, da questa prospettiva, come pochi altri hanno saputo ricavare una vera e propria macchina citazionistica a nastro continuo dalla propria sconfinata devozione verso il mito intramontabile del rock psichedelico anni Sessanta.
“Pilgrims Progress” è dunque un disco che non deluderà i fedeli seguaci del gruppo, regalando una manciata di nuovi pezzi entusiasmanti (come anche “Barbara Ella” o “Modern Blues”), ma che, del tutto prevedibilmente, non sposterà di un millimetro le convinzioni (in parte fondate) dei detrattori più inamovibili, sempre pronti a tacciare la band inglese di un blando revivalismo autocelebrativo e vagamente masturbatorio. Forte del proprio onesto mestiere e della propria sottile erudizione archeologica, la band può comunque continuare a sognare imperturbata.
(22/07/2010)