Dopo il clamoroso e inaspettato successo di "Nouns", viatico di tutta uno "scena" esplosa successivamente a suon di chitarre distorte, melodie punk e DIY (Japandroids, Wavves, Male Bonding), questo terzo (ma ufficialmente il secondo) appuntamento discografico made in Sub-Pop dei No Age, non poteva non essere considerato alla stregua di una "maturanda" prova del nove.
Intanto, si può senz'altro dire che con "Everything In Between" i No Age chiudano un cerchio cominciato con la raccolta di "Weirdo Rippers", (ricca di distorsioni e rumorismi baccanali), proseguito con il succitato "Nouns", (l'album della maggiore compiutezza, verso una maggiore cantabilità e un'immediatezza melodica che non perde tuttavia il gusto per la velocità, l'abrasività sonora e l'essenzialità tipica di chi gioca a fare del punk) ed enfatizzato ulteriormente dalla sperimentazione quasi pop dell'Ep "Loosing Feeling". Il suono pertanto si fa ora più corposo e riconoscibile, oltre che più ottimizzato e ascoltabile. Tra i soliti feedback chitarristici (anche se meno sporchi) e i frenetici colpi di batteria, si inseriscono in maniera ancora più massiccia samples e loop elettronici, sia nelle tracce più ambientali e atmosferiche (da segnalare "Positive Amputation") sia in quelle più tradizionali. La scanzonata e "dissonante" voce di Spunt è messa ancora di più in primo piano, laddove in passato restava sommersa sotto il muro sonoro imbastito dal duo. Insomma un pop-rock sempre meno noise e lo-fi e sempre più surf e power.
I riferimenti da cui attingere, invece, sono sempre gli stessi e rimandano a certo post-hardcore anni 80 e a gruppi quali Jesus & Mary Chain (come nel sound allo stesso tempo melodico e rumoroso delle marziali "Life Prowler" e "Glitter", tra ritornelli bubblegum e feedback fluttuanti dal gusto spaziale, quasi shoegaze), Ramones (come nello skate-punk dell'isterica "Fever Dreaming"), Husker Du (le deliranti sventagliate garage di "Depletion"), Velvet Underground (l'incedere martellante di "Skinned"), Nirvana (le chitarre taglienti e dissonanti di "Valley Hump Crash") e naturalmente Sonic Youth (la stralunata "Chem Trails").
Il risultato è di certo apprezzabile, ma non siamo ai livelli dell'album di esordio. Ancora una volta, i pezzi buoni e talora memorabili non mancano, ma è come se a fronte di una maggiore compiutezza sonora e melodica, i No Age abbiano perso qualcosa in termini di freschezza, spontaneità e, soprattutto, di impeto devastante ed eccitante frenesia. Solleticano e divertono l'animo, laddove prima lo colpivano con ingenua, giovane, violenza.
20/09/2010