È un'ambiziosa sinestesia tra note, parole, immagini e movimenti a costituire spunto e finalità del nuovo lavoro di uno dei compositori più apprezzati e in un certo senso ufficialmente riconosciuti tra i tanti che negli ultimi anni hanno inteso coniugare reminiscenze classiche con le infinite possibilità offerte dalle sperimentazioni elettroniche.
"Infra", sesta pubblicazione di Max Richter a partire da "Memoryhouse", rappresenta infatti la testimonianza sonora di una piéce commissionatagli dal celebre coreografo Wayne McGregor, portata in scena alla fine del 2008 dall'English Royal Ballet e ispirata al poema "La terra desolata" di T.S. Elliott, la cui rappresentazione si è anche avvalsa di un accompagnamento di immagini digitali realizzate dall'artista pop Julian Opie.
È dunque facile desumere che la musica rappresenti soltanto una piccola parte dell'intera operazione e che quindi il suo solo ascolto decontestualizzato non possa rendere se non un effetto parziale dell'opera alla quale è stata destinata; del resto, parziale è anche la rifusione in questo "Infra" della musica scritta per il balletto, visto che ai venticinque minuti di quelle composizioni (appunto le otto tracce intitolate "Infra"), Richter ha allegato il quarto d'ora costituito dalle cinque "Journey", frutto di un'analoga matrice concettuale e ispirata alla "Winterreise" di Schubert.
Forma e contenuto delle due parti del lavoro non presentano sostanziali difformità, essendo tutti i tredici brani in esso raccolti improntati da un lato all'intersezione tra pianoforte minimale e arrangiamenti austeri, che rappresentano ormai tratto distintivo del compositore di origine tedesca e dall'altro a una ricerca elettronica non limitata solo a field recordings, frammenti e crepitii vari, ma che attraverso una più pervasiva operazione di filtraggio di arrangiamenti acustici consegue una compiuta integrazione tra elementi diversi ma non più reciprocamente estranei.
L'abbraccio elettronico prende piede fin dal brano iniziale, senza dubbio quanto di più prossimo alle elucubrazioni nelsoniane finora prodotto da Max Richter, e si perpetua nell'aere nebbioso e ipnotico sul quale insistono scorci cinematici come quelli di "Infra 2" e "Journey 3".
Le progressioni e i crescendo sono circoscritti a un paio di brani, ove i toni tornano a farsi incredibilmente lievi e primaverili ("Infra 3"), fornendo esito e impetuoso sfogo alla tensione latente, trattenuta nel corso di tutto il lavoro ("Infra 5"). Pur senza denotare significativi mutamenti nello stile compositivo dell'autore, il reiterato incontro e la combinazione di volta in volta diversa tra i due elementi essenziali della sua musica raggiungono in "Infra" vette convincenti dal punto di vista delle suggestioni e della stessa attitudine a prestarsi a una fruizione in contesti visivi e performativi più complessi di quello esclusivamente musicale.
Come già nelle filigrane cerebrali di "The Blue Notebook" e nelle istantanee in miniatura di "24 Postcards In Full Colour", Richter riesce a semplificare la complessità, ammantando al contempo di un'aura solenne texture elettronico-pianistiche solo superficialmente agevoli e scontate. Al di là della mera forma, l'equilibrio nella sistematizzazione degli elementi e la capacità di suscitare suggestioni anche a prescindere dal legame con gli aspetti visuali continuano a rappresentare lo spartiacque tra i tanti artigiani e le poche eccellenze post-classiche, tra le quali, per classe e biografia, Max Richter dimostra ancora una volta di poter essere annoverato a pieno titolo.
19/07/2010